Il nuovo trend è stato confermato da uno studio pubblicato su Science.
Sembra essere l’inizio della fine per il buco nell’ozono in Antartico!
Una nuova analisi dimostra che il buco nell’ozono è adesso, in media, più piccolo e compare più tardivamente rispetto a quanto accadeva nell’anno 2000.
Il buco nell’ozono, infatti, si determina ogni primavera nell’emisfero meridionale, lasciando filtrare una quantità di dannosi raggi ultravioletti.
Il Protocollo di Montreal, firmato nel 1987 e in vigore dal 1989, ha previsto delle misure finalizzate alla riduzione del buco nell’ozono, tra le quali la messa al bando dei clorofluorocarburi, i composti chimici che contengono clorina e vengono utilizzati come refrigeranti in prodotti quali i condizionatori d’aria. I clorofluorocarburi sono stati individuati tra i fattori di accelerazione della perdita di ozono nella stratosfera.
I risultati dello studio, realizzato dalla dott.ssa Susan Solomon e dai suoi colleghi del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, sono stati pubblicati nel numero di giugno della rivista Science e dimostrano che questo divieto ha funzionato.
La dott.ssa Solomon ha dichiarato “Abbiamo evitato quella che sarebbe stata una catastrofe ambientale per il pianeta”.
Già nel 2008 un primo studio di Yang et al. aveva segnalato che il tasso di deplezione dello strato atmosferico di ozono aveva cominciato a ridursi e nel 2014 l’Assessment by the World Meteorological Organization aveva dimostrato che il processo riparativo era iniziato, ad alta quota, nelle medie e basse latitudini.
Ad ottobre 2015 era stato registrato, invece, un dato in contro-tendenza: il buco dell’ozono in Antartico aveva raggiunto allora un livello record, con un picco d’estensione pari ad un’area di 28,2 milioni di kilometri quadrati. Tuttavia l’allarmante fenomeno poteva essere collegato a consistenti eruzioni vulcaniche che avrebbero avuto un impatto sulla composizione chimica dello strato d’ozono, cosa che il team della dott.ssa Solomon decise allora di accertare.
I ricercatori scoprirono che il vulcano Calbuco del Cile era da considerare in buona parte responsabile del fenomeno, dal momento che aveva eruttato nell’aprile 2015 e riempito la stratosfera di particelle sulfuree che avevano innescato delle reazioni di distruzione dell’ozono.
Il modello climatico accuratamente messo a punto dagli scienziati ha anche accertato che il buco nell’ozono in Antartide nel mese di settembre si era ristretto in media di 4,5 milioni di kilometri quadrati, tra il 2000 e il 2015. Settembre è un periodo di riferimento importante, poiché è il mese in cui la luce solare ritorna in pieno in Antartico, dopo l’inverno, mettendo in moto le reazioni chimiche che distruggono lo strato di ozono atmosferico. “Il trend è significativo ed è proprio ciò che ci aspettiamo dalla chimica della clorina”, ha dichiarato la dott.ssa Solomon. Finora gli scienziati si erano focalizzati sul mese di ottobre, che era il periodo in cui si registrava il buco dell’ozono più ampio, ma la dott.ssa Solomon ha sottolineato come i segnali del processo di riparazione sono da rilevare in settembre, dal momento che il buco adesso si apre in media 10 giorni più tardi rispetto a quanto accadeva in passato. Saranno necessari parecchi decenni perché il buco nell’ozono in Antartide si rimargini completamente.
“Il buco nell’ozono rimane ancora imponente e non possiamo aspettarci che sparisca prima della fine del secolo, con tutte le conseguenti implicazioni per la salute dell’uomo e dell’ecosistema” ha dichiarato Michaela Hegglin, scienziato atmosferico dell’Università di Reading (Regno Unito).
Inoltre, purtroppo, il buco dell’ozono in Artico, sopra il Polo Nord, che oscilla maggiormente rispetto a quello della parte meridionale, non ha ancora dimostrato alcun trend verso la riduzione.
Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile