Il Prof. Amir Amedi della Hebrew University di Gerusalemme illustra ai nostri lettori alcuni dispositivi messi a punto recentemente per aiutare ciechi ed ipovedenti a superare il loro handicap utilizzando le modalità sensoriali rimaste integre. In particolare vengono descritti i sistemi che utilizzano la via uditiva, che in questi ultimi anni hanno conosciuto un importante sviluppo, favorito dal progresso della tecnologia e delle neuroscienze cognitive
I Dispositivi di Sostituzione Sensoriale
È opinione comune che la corteccia cerebrale visiva, deprivata degli stimoli visivi nella prima infanzia, non sarà mai in grado di sviluppare adeguatamente la sua specializzazione funzionale, rendendo pressoché impossibile il recupero della vista nelle fasi successive della vita.
Alcuni scienziati della Hebrew University di Gerusalemme e dell’Istituto della Visione di Parigi sono, invece, riusciti a dimostrare che gli individui ciechi possono in effetti “vedere”, descrivere gli oggetti e persino identificare lettere e parole, utilizzando i Sensory Substituion Devices.
Tra questi dispositivi, denominati appunto di Sostituzione Sensoriale Video-uditiva (SSD), il più recente The vOICe, messo a punto nel 1992 dall’ingegnere Peter Meijer, del laboratorio di ricerca Philips a Eindhoven nei Paesi Bassi, funziona grazie a un software che converte in suono l’immagine-video acquisita da una videocamera(4).
La rappresentazione sonora dell’immagine obbedisce a delle regole precise. La scena viene esplorata da sinistra a destra, l’altezza del suono traduce la posizione elevata del segnale nell’immagine, la sua intensità riflette la luminosità dell’oggetto. Anche altri attributi dell’immagine, quali il colore e la distanza, vengono elaborati dal sistema allo stato attuale di sviluppo.
La percezione dell’immagine così rappresentata è istantanea. Questa tipologia di messaggio sonoro consente di elaborare una rappresentazione mentale della forma, della struttura e della localizzazione degli oggetti, che si trovano nei pressi, e di interagire con essi.
Il DSS non consente di ripristinare in senso stretto la modalità sensoriale perduta, ma fornisce il mezzo per sviluppare e utilizzare una nuova funzione integrativa.
Le strutture che assicurano questa nuova funzione di integrazione del suono in immagine mentale sono, almeno parzialmente, situate a livello occipitale, cioè nel tessuto normalmente dedicato alla percezione visiva.
Plasticità intermodale
Nel soggetto sano, la corteccia occipitale riconosce essenzialmente delle vie visive afferenti. Tuttavia, attraverso dei processi di integrazione vi possono interagire stimoli connessi ad altre modalità sensoriali, ad esempio uditive e tattili.
Nei casi di menomazione della vista la corteccia occipitale accresce la sua partecipazione al trattamento delle informazioni fornite dagli altri sensi. C’è ragione di pensare che la riorganizzazione funzionale si realizzi in due tempi. Il primo presenta un’attivazione o un rafforzamento delle connessioni nervose pre-esistenti. Se la situazione clinica perdura, si avvia una seconda fase, con lo sviluppo di strutture nervose nuove.
Questo processo di plasticità intermodale spiega l’impianto occipitale di meccanismi che assicurano l’integrazione degli stimoli sonori prodotti da un SSD proprio nell’ambito delle strutture specializzate della corteccia visiva.
Un esempio di ciò è l’implicazione del giro fusiforme che, nel complesso latero-occipitale, è essenzialmente dedicato al riconoscimento visivo dei volti. Uno studio effettuato con RM funzionale ha rivelato che questo complesso si attiva quando il soggetto cieco cerca di riconoscere un volto nell’ambito di una rappresentazione sonora prodotta dal SSD. In compenso il giro fusiforme non è sollecitato da un segnale sonoro che identifica l’individuo in modo non spaziale, come la voce(1).
Leggere con i suoni: SSD e VWFA
Il team di ricercatori, guidato dal Prof. Amir Amedi e da Ella Striem-Amit, in uno studio pubblicato a novembre 2012 ha dimostrato che con l’ausilio di dispositivi di Sostituzione Sensoriale (SSD – Sensory Substitution Devices) individui congenitamente ciechi possono imparare a leggere e a riconoscere immagini complesse.
Per poter utilizzare un SSD video-auditivo, sia in ambito ospedaliero che in un ambiente quotidiano, è sufficiente indossare una mini-videocamera collegata a un piccolo computer (o smart phone) e a delle cuffie stereo.
Le immagini vengono convertite in “soundscapes” (suoni che “traducono” topograficamente le immagini) attraverso un algoritmo che consente all’utilizzatore di ascoltare e quindi interpretare le informazioni visive provenienti dalla videocamera. I soggetti ciechi che utilizzano questo dispositivo raggiungono un livello di acuità visiva che tecnicamente supera il criterio universalmente condiviso dal WTO (World Health Organization) per la cecità, come già pubblicato in un precedente studio dello stesso gruppo.
La visione che ne risulta, sebbene non convenzionale in quanto non implica l’attivazione dell’apparato oculare del corpo, è tuttavia “visiva” nel senso che di fatto essa attiva la rete di identificazione visiva del cervello.
Lo studio dimostra che seguendo un unico protocollo di addestramento, specifico ma relativamente breve (70 ore), messo a punto dal laboratorio Amedi, gli individui ciechi potrebbero facilmente utilizzare gli SSD per classificare le immagini in categorie di oggetti, quali: immagini di volti, case, forme del corpo, oggetti quotidiani e sfondi.
Possono anche identificare oggetti quotidiani più complessi, localizzare la posizione delle persone nello spazio, identificare le espressioni facciali e persino leggere lettere e parole (per demo, filmati e ulteriori informazioni vedi http://brain.huji.ac.il/).
Questi risultati senza precedenti sono riportati nell’articolo pubblicato nel numero di novembre della prestigiosa rivista di neuroscienza Neuron.
Lo studio della Hebrew University è andato anche più avanti, testando cosa succede nel cervello quando gli individui ciechi imparano a vedere con i suoni. In particolare il gruppo di ricerca ha verificato la capacità di questa visione ad elevata acuità di attivare la corteccia visiva “dormiente” degli individui ciechi, anche nel caso in cui venisse loro insegnato a processare le immagini visive attraverso i suoni solo in età adulta.
Il prof. Amedi e Ella Striem-Amit hanno utilizzato la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) per misurare l’attività neuronale degli individui ciechi dalla nascita mentre “vedevano”, utilizzando l’SSD, immagini ad alta risoluzione di lettere, volti, case, oggetti quotidiani e forme del corpo. Sorprendentemente, non solo la loro corteccia visiva era attivata dai suoni, ma il cervello mostrava la selettività per categorie che caratterizza il cervello che si sviluppa normalmente negli individui normovedenti.
Una porzione specifica del cervello, nota come VWFA (Visual Word Form Area o Area Visiva del Modulo Parola) – individuata per la prima volta nei normovedenti dai Professori Laurent Cohen e Stanislas Dehaene dell’Ospedale Pitie-Salpétriere INSERM-CEA (Francia) – è normalmente molto selettiva.
Nei normovedenti il VWFA ha un ruolo nella lettura e si attiva nel vedere e leggere le lettere più che per ogni altra categoria visiva di oggetti. Sorprendentemente la stessa cosa è stata rilevata in quest’area in individui privi della vista. Il loro VWFA, dopo sole 10 ore di training nell’utilizzo del SSD, ha dimostrato una maggiore attivazione per le lettere piuttosto che per le altre categorie visive testate.
Di fatto il VWFA era così plastico nel modificarsi, che in uno dei partecipanti allo studio è stata dimostrata una accresciuta attivazione per le lettere SSD dopo meno di due ore di training.
“Il cervello dell’adulto è più flessibile di quello che pensavamo,” dice il Prof. Amedi. Infatti questa ed altre ricerche realizzate da vari gruppi hanno dimostrato che molteplici aree cerebrali non sono specifiche per quanto concerne il loro input sensoriale (vista, udito o tatto), ma piuttosto per la funzione, o per il tipo di elaborazione che svolgono, che può essere realizzato con varie modalità (Questa informazione è stata riassunta in una recente review del gruppo di ricerca del Prof. Amedi, pubblicata nella rivista Current Directions in Neurology.)
Sembra, dunque, che negli individui ciechi le aree cerebrali potrebbero potenzialmente essere “risvegliate” per quanto concerne proprietà e funzioni necessarie alla percezione visiva anche dopo anni o forse persino nel caso di cecità dalla nascita, se vengono utilizzate le tecnologie e le forme di training appropriate, come ha dichiarato il Prof. Amedi.
Queste scoperte consentono di alimentare la speranza che un input reintrodotto nei centri visivi del cervello di un cieco possa potenzialmente ripristinare la visione, e che i SSD possano essere utili per la riabilitazione visiva.
Come ci dice il prof. Amedi: “Gli SSD potrebbero aiutare gli individui congenitamente ciechi o quelli con menomazioni visive ad imparare ad elaborare immagini complesse, come è stato fatto in questo studio, oppure potrebbero essere utilizzati come interpreti sensoriali che forniscono un input ad alta-risoluzione, sincrono e di supporto a un segnale visivo che proviene da un dispositivo esterno come un occhio bionico”.
Amir Amedi
Institute for Medical Research Israel-
Canada (IMRIC) and The Edmond and
Lily Safra Center for Brain Sciences (ELSC)
Hebrew University of Jerusalem, Israel
Bibliografia
1) Amedi A et al. (2007), Nat Neurosci 10, 687-9
2) Auvray M et al. (2007), Perception 36, 416-30.
3) Reich L et al. (2012), Curr Opin Neurol 25, 86-95
4) Meijer PBL (1992), IEEE Trans Biomed Eng 39, 112-21
Vedi il video (in lingua inglese)
Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile