L’importanza di una metodica di screening sensibile e specifica sta spingendo diversi gruppi all’identificazione di biomarcatori della retinopatia diabetica.
La complicanza oculare più comune nei soggetti affetti da diabete e che costituisce la principale causa di cecità nei paesi economicamente sviluppati è la retinopatia diabetica (RD). Una diagnosi precoce e una terapia tempestiva sono elementi necessari per contrastare lo sviluppo e/o la progressione della RD evitando così danni oculari irreversibili e migliorando la qualità di vita del paziente.
Diagnosi tradizionale della RD
La diagnosi della RD, in base allo stadio clinico del paziente affetto da patologia diabetica, può comprendere l’esame del fondo oculare o un esame oculistico completo, il quale, come raccomandato dalle Linee Guida 2015, redatte dal Gruppo di Studio sulle Complicanze Oculari del Diabete della Società Italiana di Diabetologia, è necessario per valutare la pressione oculare, l’acuità visiva, i riflessi pupillari e il segmento anteriore e posteriore dell’occhio. La diagnosi della RD, nella maggioranza dei casi, viene condotta utilizzando l’oftalmoscopio, che consente un’adeguata valutazione dei segni della retinopatia diabetica attraverso un esame del fondo oculare. In alcuni casi questo esame è accompagnato da una biomicroscopia atta a visualizzare il bulbo e gli annessi oculari. Per una corretta valutazione delle lesioni causate dalla RD, invece, viene di norma raccomandata una retinografia.
Per ottenere ulteriori informazioni sono consigliati inoltre:
– l’ecografia oculare, nei casi in cui la valutazione del fondo oculare è offuscata dall’opacità dei mezzi diottrici;
– la tomografia oculare a luce coerente (OCT) e l’analisi computerizzata dello spessore retinico (RTA), per ottenere delle chiare scansioni retiniche della regione maculare e valutare possibili trazioni vitreo-retiniche;
– la microperimetria (SLO) e l’elettroretinografia, per valutare una corretta funzionalità retinica in presenza di lesioni;
– l’iridografia, per avere una diagnosi precoce dei processi di neo-vascolarizzazione dell’iride.
La fluoroangiografia retinica, un esame di tipo invasivo, invece, come indicato nelle Linee Guida 2015, non deve essere eseguita né per la diagnosi né per lo screening della RD, ma solo in alcune condizioni cliniche nelle quali è necessario identificare aree di neo-vascolarizzazione e zone retiniche ischemiche, valutare la patogenesi dell’edema maculare ed eseguire un esame accurato della macula.
Nuovi approcci alla diagnosi della RD
Negli ultimi decenni, lo studio del proteoma oculare del soggetto affetto da RD, o meglio di tutte le proteine espresse nelle diverse cellule dell’occhio, ha portato all’identificazione di biomarcatori a scopo diagnostico prelevati da campioni di retina, umor vitreo e umor acqueo. Tuttavia, sebbene questi biomarcatori forniscano preziose informazioni sull’ezio-patogenesi della RD, utili per una comprensione più completa della patologia, questi target molecolari non possono essere utilizzati a scopo puramente diagnostico-preventivo, in quanto i campioni dai quali vengono analizzati, possono essere raccolti solo quando il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, e dunque si trova in uno stadio della malattia già conclamato.
In questo contesto, nasce la necessità di effettuare una diagnosi con metodiche non invasive tramite la raccolta di campioni oculari facilmente reperibili, come quelli derivanti dal liquido lacrimale, che rappresenta un campione significativo nel soggetto affetto da patologia diabetica, e in particolare da RD, poiché i problemi di vascolarizzazione tipici di questa patologia inducono cambiamenti a livello del flusso del sangue retinale che, a loro volta, modulano la composizione proteica della lacrima.
Partendo da questa considerazione, gli Autori della ricerca pubblicata nel gennaio 2017 su Journal of Proteomics, hanno testato un sistema d’identificazione dei micro-aneurismi, combinato allo studio proteomico del liquido lacrimale, che ha dimostrato avere interessanti valori di sensibilità e specificità, rispettivamente di 0.93 e 0.78.
Infatti, il contenuto proteico del liquido lacrimale, ha portato all’identificazione di oltre 1550 proteine, alcune delle quali presentano profili di espressione differenti tra i soggetti affetti da RD non proliferante (RDNP) e quelli affetti da RD proliferante (RDP), permettendo quindi una diagnosi differenziale della patologia.
Diversi studi, inoltre, hanno dimostrato che in concomitanza della RD si riscontra un’alterazione nella composizione proteica della “chemical barrier” del liquido lacrimale, cioè di tutte quelle molecole che fungono da barriera chimica nei confronti degli agenti esterni. Questi cambiamenti potrebbero portare sia ad una minore difesa contro le infezioni batteriche, che ad un processo di guarigione oculare significativamente più lento. Infatti, l’analisi funzionale del proteoma lacrimale ha confermato che la maggior parte delle proteine presenti nella lacrima sono implicate nella risposta immunitaria e nei processi infiammatori che si possono verificare in seguito, ad esempio, all’infezione da parte di un batterio patogeno. Inoltre, nella lacrima sono presenti numerosi peptidi e/o proteine che appartengono alla famiglia dei peptidi antimicrobici e immunomodulatori (AMP).
Dunque, il liquido lacrimale, potrebbe essere un ottimo candidato per la ricerca di specifici biomarcatori della RD, per la facilità con il quale si può campionare, ma soprattutto perché alterazioni nella sua composizione proteica sono direttamente correlati alla concomitante presenza di patologie oculari.
Bibliografia
– Csòsz E et al. Diabetic retinopathy: Proteomic approaches to help the differential diagnosis and to understand the underlying molecular mechanisms. J Proteomics.2017;150:351-358.
– Gruppo di Studio sulle Complicanze Oculari del Diabete della Società Italiana di Diabetologia. Linee-guida per lo screening, la diagnostica e il trattamento della retinopatia diabetica in Italia. 2015
Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile