Un team di ricercatori italiani ha realizzato e validato una protesi retinica completamente organica, che è stata impiantata in un modello murino in vivo. Le analisi elettrofisiologiche e comportamentali hanno rivelato nei topi portatori di una mutazione in uno dei geni implicati nell’insorgenza della retinite pigmentosa umana, un aumento post-impianto della sensibilità alla luce e dell’acuità visiva, miglioramenti che persistevano fino a 10 mesi. Questi risultati unici, inoltre, erano accompagnati da un aumento dell’attività metabolica basale della corteccia visiva primaria.
La progressiva degenerazione dei fotorecettori retinici a causa di mutazioni a carico di geni specifici è una delle principali cause di cecità negli adulti, tra questi la retinite pigmentosa per la quale, al giorno d’oggi, non esiste ancora un trattamento clinico totalmente efficace.
La retina descritta nello studio, pubblicato sulla rivista Nature Materials, è caratterizzata da due strati di polimeri organici, alternativamente semiconduttore e conduttore, stratificati su una base di fibroina. Quando l’interfaccia di questi polimeri è colpita dai fasci luminosi, essa riesce a mimare il processo a cui, nelle retine sane, sono addetti i coni e bastoncelli, convertendo le informazioni in funzioni elettriche dei neuroni.
La ricerca, che ha coinvolto il Centro di Neuroscienze e Tecnologie Sinaptiche (NSYN) di Genova e Centro di Nanoscienze e Tecnologie (CNST) di Milano, il Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), Innovhub-SSI Milano e l’Università dell’Aquila, nonché la Fondazione Telethon, il Ministero della Salute e diverse fondazioni private, ha prodotti risultati davvero singolari, poiché rispetto ad altri modelli di retina artificiale, genericamente basati sulla tecnologia del silicio, questo prototipo presenta una tollerabilità , durata e autonomia di funzionamento unici. La Prof.ssa Grazia Pertile, direttore del Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, ha rilasciato alcune dichiarazioni a diverse testate nelle quali ha precisato che il gruppo di ricerca sta pianificando la prima sperimentazione sull’uomo nella seconda metà del 2017 e, dunque, sperano di raccogliere alcuni dati già nel corso del 2018.
È chiaro che questi risultati hanno un potenziale enorme, in quanto evidenziano la possibilità di sviluppare una nuova generazione di protesi altamente biocompatibili per trattare patologie retiniche invalidanti.
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Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile