Scopri quali sono i principali test visivi per la diagnosi.
Cos’è un test oculistico
Una visita oculistica completa si articola in tre momenti fondamentali:
1. Anamnesi: che consiste nella raccolta dalla voce diretta del paziente e/o dei suoi familiari (per es. i genitori nel caso di un lattante o di un bambino) di informazioni relative alla storia clinica e condizione oculare e sistemica, personale e familiare del paziente.
2. Test oculistico o visivo: esame clinico e strumentale per valutare la condizione anatomica e la funzionalità degli occhi e degli annessi oculari.
3. Valutazione dei reperti diagnostici, formulazione di una diagnosi e prescrizione di un’eventuale terapia.
I principali test visivi
– Ispezione esterna o esame diretto
– Esame con lampada a fessura o biomicroscopia corneale
– Esame della refrazione
– Misurazione dell’acuità visiva per lontano e per vicino
– Esame della sensibilità al contrasto
– Esame del senso cromatico
– Esame del fondo oculare o oftalmoscopia
– Tonometria
– Pachimetria
– Perimetria o Campo visivo
– FAG, ICGA e OCT
– Esami elettrofisiologici
– Test dell’adattamento al buio (adattometria)
– Misurazione dell’autofluorescenza
Ispezione esterna o esame diretto
Questo test oculistico, effettuato a occhio nudo o con l’ausilio di una lampadina tascabile e di una lente d’ingrandimento, serve a rilevare anomalie evidenti di palpebre, congiuntiva, cornea, pupilla, iride e bulbo oculare (ad es. l’esoftalmo).
Esame con lampada a fessura o biomicroscopia corneale
La lampada a fessura è uno speciale microscopio binoculare, che ruota intorno ad un perno così da consentire l’ispezione dell’occhio, in particolare del segmento anteriore, da diverse angolazioni. È dotata di una sorgente luminosa, anch’essa mobile, il cui raggio ha la forma di una fessura (da cui il nome dello strumento) ed un’intensità regolabile, così da poter esaminare l’occhio attraverso diverse “sezioni ottiche”.
La lampada a fessura consente anche l’esame del segmento posteriore, del vitreo e del fondo oculare, utilizzando la lente a contatto di Goldmann, che viene posta sull’occhio, previa anestesia topica. Questa lente è piatta dal lato rivolto verso il medico e concava dal lato opposto per adattarsi alla curvatura della cornea. In questo modo si elimina il forte potere refrattivo della cornea e si consente al medico di esaminare il segmento posteriore con il microscopio.
All’interno della lente a contatto si trovano diversi specchi che permettono di vedere, attraverso la pupilla, anche le parti più periferiche della retina. Uno di questi specchi consente di esaminare anche l’angolo irido-corneale. Negli ultimi anni si è diffuso l’uso di lenti non a contatto, lenti di Volk e similari, da inserire manualmente sul percorso del raggio della lampada a fessura, che offrono un’eccellente visione del fondo fino quasi all’estrema periferia.
Esame della refrazione
Il test oculistico della refrazione include:
– La misurazione degli errori refrattivi o refrattometria, che può essere effettuata con metodi obiettivi, quali la schiascopia tradizionale o a striscia, o soggettivi/obiettivi utilizzando gli autorefrattometri.
– La correzione ottica, che consiste nella prescrizione da parte del medico oculista della lente più appropriata per mettere a fuoco i raggi luminosi sulla retina.
L’oculista si serve a questo scopo della ricetta oculistica in cui vengono inseriti tutti i dati necessari perché l’ottico possa fornire al paziente gli occhiali idonei ad assicurare la correzione di cui ha bisogno.
Nella ricetta oculistica vengono spesso utilizzate alcune abbreviazioni, quali:
– ADD (Addizione): indica il potere aggiuntivo nelle lenti a contatto multifocali o progressive (espresso in diottrie). Nella maggior parte dei casi il valore può variare da un minimo di +1,00 a +3,00.
– AX (Asse): è la posizione dell’astigmatismo in gradi. Il valore oscilla da 0 gradi a 180.
– BC (Base Curve) o RB (Raggio Base): corrisponde, utilizzando l’unità di misura in millimetri, alla curvatura della lente oculare.
– CYL (Cylinder) o CIL (Cilindro): indica la zona della lente denominata cilindro. Nelle lenti toriche, il CIL indica il potere della lente per correggere l’astigmatismo, espresso in Diottrie
– OD (Occhio Destro) o RE (Right Eye)
– OS (Occhio Sinistro) o LE (Left Eye)
– D: Diottria.
La Diottria, in ottica, è l’unità di misura (in m-1) del potere di rifrazione di un sistema ottico o di una lente ed esprime la sua capacità di modificare le direzioni dei raggi di luce entranti per metterli a fuoco e tradurli in immagine ad una certa distanza dal centro del sistema ottico stesso (distanza focale). Il numero di diottrie di una lente o di un sistema ottico è pari all’inverso della distanza focale espressa in metri: D = 1/f (m).
Inoltre la prescrizione può essere inserita in corrispondenza delle voci:
– PER DISTANZA: in questo caso l’occhiale non va utilizzato per le distanze prossimali
– PER VICINO (o PER LETTURA): contraddistingue occhiali per la sola lettura o comunque per le distanze prossimali, da levare quando si alza lo sguardo
– A PERMANENZA: corrisponde a prescrizioni per le quali la correzione deve essere sempre in uso, per tutte le distanze a cui si guarda.
Infine, gli orientamenti angolari nelle correzioni cilindriche possono essere ruotati secondo due differenti sistemi:
– Il sistema TABO presenta il valore zero verso il lato destro del semicerchio raffigurato
– Il sistema INTERNAZIONALE presenta gli zeri posti entrambi nasalmente
Misurazione dell’acuità visiva per lontano e per vicino
L’acuità visiva (Visual Acuity – VA) è la capacità di discriminare fini dettagli spaziali. La sua misurazione si basa sul reciproco dell’angolo minimo di risoluzione, che è l’angolo visivo minimo al quale sono ancora riconoscibili due punti separati. Deve essere preceduta dall’esame della refrazione o refrattometria e dalla correzione di eventuali difetti che ne condizionerebbero la misura.
L’acuità visiva “per lontano” (Distance VA) viene misurata utilizzando ottotipi di vario tipo, cioè tabelle contenenti una serie di lettere o altri segni grafici, da riconoscere ad una distanza prestabilita, che è di 5 m nei paesi latini e germanici e di 20 piedi (6 m) nei paesi anglosassoni. A tale distanza i raggi provenienti dalla tabella sono considerati paralleli e, quindi, non attivanti il riflesso accomodativo per vicino.
Gli ottotipi più diffusi in Europa sono quelli decimali, tipo Armaignac, mentre nei paesi anglosassoni si utilizza la tavola di Snellen (distanza di lettura 20 piedi).
Accanto o sopra ogni fila di caratteri dell’ottotipo un numero frazionario indica l’acuità visiva. Nella scala decimale un soggetto sano avrà un’acuità visiva di 10/10, che significa che la 10ma linea dell’ottotipo può essere alla distanza di 5 m.
Gli ottotipi devono avere una illuminazione standard o meglio essere autoilluminati, dal momento che l’acuità visiva dipende dall’intensità di illuminazione.
Per ciascun occhio deve essere registrato sia il visus naturale (acuità visiva non corretta) che il visus con eventuale correzione.
L’acuità visiva “per vicino” viene misurata con tabelle contenenti un testo letterale o una serie di numeri o, per i bambini, disegni di oggetti comuni. La distanza di lettura è di 33 cm (13 pollici), la misurazione è in genere espressa in “punti” tipografici e il visus è normale quando il testo è letto alla distanza indicata con D alla sinistra di ciascuna grandezza di caratteri.
[caption id="attachment_554" align="aligncenter" width="300"] Tavola ottotipica per vicino Wormington[/caption]
Esame della sensibilità al contrasto
La valutazione complessiva della qualità della visione di un paziente si basa non solo sulla determinazione dell’acuità visiva, ma anche del senso luminoso, che è la capacità di distinguere oggetti scarsamente illuminati, e della sensibilità al contrasto, che è la capacità della retina di percepire le differenze di illuminazione fra un oggetto e lo sfondo. Pur in presenza di un’acuità visiva perfettamente normale, la funzione visiva può talvolta risultare notevolmente compromessa proprio per una ridotta sensibilità al contrasto.
Per misurare la sensibilità al contrasto si utilizzano particolari tavole ottotipiche, in cui varia la luminosità relativa fra il carattere e lo sfondo (ad es. le Tavole Pelli-Robson) oppure griglie, cioè stimoli costituiti da una alternanza di barre parallele chiare e scure o barre sinusoidali. Tutti questi test spesso possono essere effettuati attraverso ottotipi computerizzati.
La sensibilità al contrasto viene espressa non con un numero, ma con una curva.
Esame del senso cromatico
Il test oculistico del senso cromatico permette di valutare la capacità di riconoscere i tre colori fondamentali: rosso, verde e blu.
Servono a diagnosticare difetti del senso cromatico, sia congeniti che acquisiti.
[caption id="attachment_556" align="alignleft" width="300" class=" "] Tavole di Ishiara[/caption]
I principali test sono:
1. I test di denominazione o comparazione, durante i quali viene chiesto al paziente di riconoscere e denominare oggetti di uno stesso colore (matassine, palline, ecc.) o luci che possono essere monocromatiche o multicolori.
2. I test pseudo isocromatici, nei quali il paziente deve identificare un oggetto colorato (numero, lettera o figura geometrica) all’interno di particolari tavole a mosaico. Le più utilizzate sono quelle di Ishihara, con mosaici formati da dischetti colorati e grigi. Il paziente con una visione normale dei colori riuscirà a percepire i numeri o simboli in esse rappresentati.
3. I test visivi di classificazione, in cui il paziente deve riordinare delle pastiglie colorate in sequenze cromatiche corrette, entro un tempo massimo. I più utilizzati sono i test di Fansworth 16 HUE (utilizzato nei bambini sin dai 4 anni di età, negli analfabeti e nei soggetti con acuità visiva molto ridotta) e 100 HUE.
Esame del fondo oculare (oftalmoscopia)
L’esame del fondo oculare viene effettuato con l’oftalmoscopio, che può essere diretto o indiretto. Per una buona visione stereoscopica del segmento posteriore è necessario che la pupilla sia dilatata farmacologicamente attraverso l’istillazione di alcune gocce di un collirio midriatico (cioè in grado di dilatare, in circa 15-20 minuti).
La midriasi impedisce al paziente di vedere da vicino e riduce la tolleranza alla luce; di solito la vista ritorna alla normalità nel giro di poche ore. Le strutture che vengono così esaminate sono: la papilla ottica, la macula, i vasi retinici, la periferia della retina e gli eventuali reperti patologici (edemi, emorragie, alterazioni del pigmento, etc).
Tonometria
La tonometria è un test oculistico che serve a rilevare il valore del “tono oculare”, cioè della pressione interna dell’occhio (PIO: pressione intraoculare), che dipende da un delicato equilibrio tra il continuo flusso di umore acqueo nella camera anteriore e il suo deflusso attraverso il sistema trabecolare.
I valori della pressione intraoculare normale oscillano nell’intervallo 15 ± 3 mmHg (millimetri di mercurio). Può essere opportuno ripetere più volte durante la giornata la misurazione per avere una “curva tonometrica”, cioè una descrizione dell’andamento della pressione dell’occhio durante il giorno.
Gli strumenti per misurare la pressione intraoculare si chiamano tonometri e ne esistono numerose tipologie. Nella tonometria “ad applanazione” la pressione intraoculare viene desunta dalla forza meccanica che è necessaria per appianare una ridotta area circolare della cornea, in zona centrale.
La tonometria ad applanazione di Goldmann è attualmente considerata il gold standard ed è la metodica più utilizzata nella pratica clinica. Dal momento che, in questo caso, la sonda del tonometro entra in contatto con la cornea, è necessario istillare alcune gocce di un collirio anestetico sulla superficie oculare. La variabilità dello spessore corneale può in alcuni casi falsare il risultato del test, per cui i valori ottenuti devono essere corretti con i dati ottenuti attraverso la pachimetria centrale.
Tra le altre metodiche ricordiamo la tonometria senza contatto (o tonometria a getto d’aria) che utilizza un impulso di aria, diretto verso la superficie corneale e che riesce ad applanare rapidamente la cornea. La pressione intraoculare è valutata rilevando la forza del getto d’aria nell’istante in cui si verifica l’applanazione. Con questa tecnica lo strumento non viene a contatto con l’occhio e si evitano così rischi di lesioni o infezioni corneali. Tuttavia alcuni specialisti considerano la tonometria senza contatto meno precisa della tonometria ad applanazione, e pertanto, pur essendo un modo veloce e semplice per misurare la pressione intraoculare, è stata prevalentemente riservata alle campagne di screening.
I moderni tonometri senza contatto hanno, tuttavia, dimostrato di correlare bene con le misure date dalla tonometria di Goldmann e si sono rivelati particolarmente utili per la misurazione della pressione intraoculare nei bambini ed in altri pazienti scarsamente collaboranti.
Pachimetria o tomografia corneale
La pachimetria o tomografia corneale è il test che serve a misurare lo spessore della cornea. Questo parametro consente di valutare l’affidabilità del valore della pressione intraoculare rilevata attraverso la tonometria: infatti una cornea più spessa della norma tende a dare valori tonometrici superiori a quelli reali, mentre all’opposto una cornea molto sottile tende a dare valori più bassi di quelli effettivi.
La pachimetria viene specificamente utilizzata per la diagnosi di patologie corneali, quali il cheratocono e l’edema corneale.
Tra le diverse tecniche ricordiamo la tomografia corneale con Scheimpflug camera (pachimetria ottica), che fornisce una mappa pachimetrica della cornea, o tramite una sonda ad ultrasuoni (pachimetria acustica). Nel caso di utilizzo di un pachimetro ultrasonico, prima di appoggiare la sonda sulla superficie corneale, viene instillato nell’occhio un collirio anestetico. La misurazione può essere ripetuta in vari punti della superficie corneale. All’inizio del test il paziente fissa una sorgente luminosa in modo continuo per pochi secondi, durante i quali lo strumento esegue una serie di scansioni della cornea. Un computer dedicato esegue le analisi morfologiche e morfometriche, estrae il valore pachimetrico rilevato in svariati punti della superficie corneale e il valore di spessore corneale minimo rilevato.
Perimetria o Campo visivo
La perimetria o esame del campo visivo è un test oculistico che permette di valutare l’ampiezza dello spazio visivo percepito. Serve a diagnosticare eventuali difetti campimetrici (alterazioni del campo visivo), che possono essere determinati da glaucoma, diabete o da malattie degenerative della retina. In caso di glaucoma, in particolare, la perimetria è molto importante sia per la diagnosi che per il monitoraggio della progressione di questa grave patologia. Infatti la percezione da parte del paziente dei restringimenti periferici del campo visivo (la cosiddetta “visione a cannocchiale“) avviene solo molto tempo dopo l’effettiva insorgenza del glaucoma.
La perimetria è un test oculistico non invasivo, ma che richiede una certa collaborazione da parte del paziente.
Viene esaminato un occhio per volta. Sulla cupola con sfondo bianco del perimetro viene proiettato uno stimolo luminoso di varia forma ed intensità. Il paziente deve azionare un pulsante ogni qualvolta percepisce lo stimolo. Alla fine dell’esame viene elaborato un grafico che evidenzia eventuali punti o aree di restringimento del campo visivo. L’esame su ambedue gli occhi dura circa 20 minuti ed i risultati sono subito disponibili.
Oggi vengono utilizzate per l’esame del campo visivo delle apparecchiature computerizzate (perimetria computerizzata) che consentono un’elevata accuratezza diagnostica.
FAG, ICGA e OCT
Per la diagnosi della DMLE vengono attualmente utilizzate tre tecniche di imaging:
1) Fluorangiografia retinica (FAG – Fluorescein Angiography)
2) Angiografia con il Verde d’Indocianina (ICGA – Indocyanine Green Angiography)
3) Tomografia Ottica a luce Coerente (OCT – Optical Coherence Tomography)
Si tratta di esami con proprietà differenti e complementari tra loro.
FAG e ICGA sono esami angiografici che sfruttano il principio della fluorescenza di sostanze coloranti, che sono: la fluoresceina per la FAG e il verde di indocianina per l’ICGA.
La FAG risulta ideale per esaminare la retina, mentre l’IGCA si utilizza per lo studio della coroide; in entrambi gli esami le immagini ottenute sono in bianco e nero e la presenza del colorante (fluorescenza) appare bianca.
– La FAG è il test oculistico più antico (anni ’60) e costituisce tuttora il gold standard nella valutazione delle lesioni maculari. In condizioni di normalità, infatti, la fluoresceina iniettata per via endovenosa, una volta raggiunta la retina, per le sue proprietà fisico-chimiche, non può (in condizioni di normalità) attraversare la barriera emato-retinica interna e rimane all’interno dei capillari retinici, da cui fuoriesce (leakage) solo in presenza di condizioni patologiche che ne provochino una rottura.
Il limite della FAG è legato all’impossibilità di evidenziare con precisione quanto avviene a livello dei sottili vasi della coriocapillare, dove la fluoresceina libera (non legata alle proteine sieriche) è in grado di diffondersi negli spazi extravascolari.
– L’ICGA, introdotta negli anni ’70 e pienamente sviluppata negli anni ‘90, utilizza come colorante il verde di indocianina che, a differenza della fluoresceina, si lega integralmente alle proteine sieriche e, quindi, rimane confinato, in condizioni di normalità, nel lume dei vasi della coriocapillare, impermeabili a queste proteine. Per l’insieme delle sue proprietà l’ICGA rappresenta l’esame ideale per lo studio della circolazione coroideale e, quindi, per l’individuazione della trama dei neovasi nella DMLE essudativa. Inoltre, è l’unico mezzo diagnostico che permette di differenziare con certezza i diversi sottotipi di anomalie vascolari (CNV, RAP e PCV), ma anche di escluderne la presenza, come ad esempio nei distacchi dell’epitelio pigmentato retinico (DEP) drusenoidi e sierosi.
– L’OCT (Optical Coherence Tomografy) è una tecnica recente che permette di valutare in vivo modificazioni quantitative e qualitative della regione maculare e del nervo ottico.
Introdotto nel 1991, l’OCT misura la riflessione della luce proveniente dagli strati esaminati dell’occhio ed è stato validato per la diagnosi delle malattie maculari e nel glaucoma. Le immagini acquisite sono ad alta risoluzione e recentemente si sono resi disponibili anche lo Spectral Domain OCT, SDOCT, che ha una velocità di acquisizione delle immagini più elevata e l’EDI-OCT, Enhanced Depth Imaging OCT, che consente anche lo studio della coroide.
Gli esami elettrofisiologici
Si tratta di una serie di esami basati sulla rilevazione dei segnali bioelettrici emessi dagli occhi e dalla corteccia visiva in risposta agli stimoli luminosi cui sono sottoposti.
Questi test forniscono una misura obiettiva della funzione visiva e sono molto importanti, soprattutto nel caso di soggetti che per età (ad es. i bambini piccoli) o per altri motivi (ad es. il coma) non sono in grado di dare risposte verbali oppure quando sussistono delle rilevanti opacità dei mezzi diottrici oculari (cornea, cristallino, corpo vitreo).
Gli esami elettrofisiologici più utilizzati sono:
a) Elettroretinogramma (ERG)
Test oculistico che serve a valutare la funzionalità degli strati esterni della retina attraverso un tracciato, che registra le variazioni di potenziale elettrico dei fotorecettori retinici (coni e bastoncelli), in risposta a flash luminosi. Si effettua applicando degli elettrodi vicino agli occhi e sulla cornea, precedentemente anestetizzata con appositi colliri.
L’ERG può essere utile a diagnosticare patologie retiniche quali il distacco di retina, le degenerazioni ereditarie, le vasculopatie retiniche e risulta particolarmente importante per la diagnosi precoce della retinite pigmentosa.
b) Elettroretinogramma multifocale (mfERG)
È il test elettrofisiologico specifico per la macula, in quanto utilizza stimoli luminosi di forma particolare, che evocano la risposta solamente dei fotorecettori e delle cellule bipolari di questo distretto della retina.
Questo test è di grande importanza per diagnosticare precocemente i disturbi della retina centrale, come la DMLE, e per monitorarne il decorso. Nei bambini serve alla diagnosi delle distrofie maculari ereditarie, quali la malattia di Stargardt, ed inoltre consente di rilevare le alterazioni oculari dovute agli effetti collaterali di alcuni farmaci.
c) Elettroretinogramma da pattern (PERG)
Serve specificamente ad esaminare le cellule ganglionari della macula, ma in realtà consente di valutare le funzioni di tutti gli strati della retina maculare. Nel PERG gli stimoli sono rappresentati da un “reticolo” (pattern), formato da riquadri bianchi e neri che durante l’esame cambiano colore, tutti contemporaneamente.
Il PERG è in grado di rilevare tutte le patologie della macula ed è il test oculistico più sensibile per la diagnosi precoce delle degenerazioni retiniche, nonché per la valutazione del coinvolgimento maculare in presenza di retinite pigmentosa. Può essere molto utile anche per valutare la funzionalità delle cellule ganglionari in presenza di glaucoma.
d) Potenziali evocati visivi (PEV)
Questo test oculistico serve a valutare il funzionamento delle vie nervose visive, dalle cellule ganglionari della retina fino alla corteccia cerebrale visiva. Per questo test oculistico si applicano degli elettrodi sulla fronte e nella parte posteriore del cranio, in corrispondenza della corteccia visiva. Lo stimolo utilizzato è normalmente una scacchiera, che compare su un monitor, alternando i chiari e gli scuri (pattern reversal). Per i pazienti in coma o non collaboranti, oppure i bambini, può essere utilizzato un flash di luce bianca. I PEV sono utilizzati per la diagnosi delle distrofie del nervo ottico, delle malattie demielinizzanti (come la neurite ottica retrobulbare), e delle alterazioni maculari ereditarie, quali le distrofie maculari o le distrofie dei coni e dei bastoncelli. Sono anche impiegati per la diagnosi degli effetti collaterali di determinati farmaci oppure nel monitoraggio della terapia in caso di tumori cerebrali.
Test dell’adattamento al buio (adattometria)
Valuta la capacità dell’occhio di adattarsi a condizioni di scarsa luminosità. Questo test oculistico è specifico per la diagnosi dell’emeralopia, condizione caratterizzata da una buona visione diurna e da una scarsa visione notturna.
Misurazione dell’autofluorescenza
La misurazione dell’autofluorescenza mediante retinografia (foto del fondo oculare) è un test oculistico recente che serve a visualizzare la fluorescenza naturale delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) sotto l’effetto di una determinata illuminazione. Il rilevamento dell’autofluorescenza dura solo qualche minuto ed è utile a diagnosticare precocemente le alterazioni dell’EPR, prima ancora che siano visibili all’esame del fondo dell’occhio con lampada a fessura.
Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile