le nanoparticelle in oro (Au-NPs) hanno, certamente, delle buone potenzialità, in virtù della loro bassa citotossicità, della capacità di sopportare modificazioni di superficie indotte da molecole contenenti tioli, di immobilizzare un ampio range di biomolecole (aminoacidi, enzimi, DNA) e per l’alto coefficiente di estinzione ottico.
Introduzione
Le nanoparticelle sono, per definizione, delle particelle tridimensionali delle dimensioni dei nanometri (0-100 nm). Nel campo dell’Oftalmologia, l’interesse nei loro confronti riguarda la capacità di alcune di esse di inibire fenomeni di neoangiogenesi retinica, nonché il loro possibile utilizzo come nuovi sistemi di rilascio di farmaci (drug delivery systems, DDS) in grado di attraversare la cornea, la congiuntiva e la barriera emato-retinica (blood retinal barrier, BRB) [1].
L’attenzione è rivolta, in particolare, verso le retinopatie, in quanto è difficile per dei farmaci specifici raggiungere la retina nelle giuste concentrazioni a causa della limitata permeabilità legata proprio alla BRB. Essa infatti è una vera e propria barriera selettiva tra i sistemi nervoso e circolatorio, costituita da uno strato più interno dato fondamentalmente dalle cellule endoteliali retiniche e da uno più esterno rappresentato dalle cellule dell’epitelio pigmentato (retinal pigment epithelium, RPE) unite tra loro da giunzioni strette (tight junctions).
Attualmente sono diversi i farmaci che sono stati sviluppati contro la neovascolarizzazione retinica ed utilizzati in ambito oftalmologico, ma i costi eccessivi e la possibile presenza di complicanze a medio e lungo termine legate alla loro somministrazione hanno spinto gli studiosi a ricercare delle vie alternative per l’inibizione della neoangiogenesi. Tra queste, le nanoparticelle in oro (Au-NPs) hanno, certamente, delle buone potenzialità, in virtù della loro bassa citotossicità, della capacità di sopportare modificazioni di superficie indotte da molecole contenenti tioli, di immobilizzare un ampio range di biomolecole (aminoacidi, enzimi, DNA) e per l’alto coefficiente di estinzione ottico [7].
Le caratteristiche dell’oro come particelle metalliche stabili erano probabilmente già note nell’antico Egitto e nella Cina del IV-V secolo a.C. A questo periodo risale la nota Coppa di Licurgo, un caratteristico manufatto romano in vetro che mostra una colorazione rosso intensa quando si lascia attraversare dalla luce ed una verde opaca se invece la luce viene riflessa, per via della presenza, all’interno del vetro stesso, di piccole quantità di oro e d’argento presenti sotto forma di nanoparticelle.
È di Francisci Antonii il primo libro riguardante le particelle d’oro [2] (od oro colloidale, come veniva definito) e risale al 1618; tale opera contiene informazioni sulla preparazione dell’oro colloidale oltre che interessanti casi clinici.
Nel tempo e sino ai giorni nostri sono stati descritti diversi metodi per la preparazione e la sintesi dell’oro colloidale e di quelle che definiamo oggi più correttamente nanoparticelle in oro (Au-NPs). Attualmente esistono due tipi differenti di approccio: i metodi di Top Down e quelli di Bottom Up. I primi provvedono alla sintesi delle nanostrutture partendo dal materiale massivo; i secondi, invece, sfruttano delle reazioni chimiche grazie alle quali la preparazione delle nanostrutture avviene a partire da semplici molecole che vengono fatte assemblare sino a raggiungere le dimensioni desiderate. Tra i metodi di Bottom Up esiste anche la possibilità di ottenere delle Au-NPs facendo ricorso a dei sistemi biologici, ossia piccole quantità di microrganismi quali funghi o batteri, come il Bacillus licheniformis o il Brevibacterium casei.
Lo scopo di questa trattazione è appunto quello di mettere in evidenza le caratteristiche delle nanoparticelle in Au-NPs, le loro funzioni, i possibili meccanismi d’azione ed il loro potenziale utilizzo clinico attraverso l’analisi degli studi più significativi in tale ambito.
Sintesi biologica di nanoparticelle in oro a partire dal Bacillus licheniformis
Beveridge e Murray furono i primi a descrivere nel 1980 che l’esposizione di Bacillus subtilis con tetracloroaurato (AuCl4–) permetteva la sintesi di nanoparticelle in oro [3].
La sintesi di queste nanoparticelle in oro attraverso metodi biologici presenta, senza dubbio, diversi vantaggi: risulta essere infatti strettamente controllata, altamente riproducibile, offre la possibilità di creare delle particelle biocompatibili, non prevede l’utilizzo di surfattanti tossici o di solventi organici. Inoltre, i batteri sono facili da trattare e possono essere modificati geneticamente.
Ciò che Kalishwaralal et al. descrivono è la sintesi di nanocubi in oro stabili attraverso la riduzione di AuCl4– in soluzione acquosa attraverso il Bacillus licheniformis, a temperatura ambiente [4]. Il processo richiede un singolo step senza che vengano utilizzati tossici chimici piuttosto che soluzioni molto rigide e rigorose. L’analisi spettroscopica e la diffrazione a raggi X (XRD) dimostrano la natura cristallina delle nanoparticelle. Il microscopio elettronico a scansione (SEM) conferma invece che la sintesi di tali nanoparticelle avviene attraverso il Bacillus licheniformis.
Il B. licheniformis viene fatto crescere in un nitrato medio. Le colture sono incubate a 200 rpm per 24 ore a temperatura ambiente e successivamente centrifugate a 15.000 rpm per 15 minuti. I pellet vengono raccolti per ottenere circa 1 g di cellule bagnate che sono poi sospese in 100 ml di una soluzione acquosa di AuCl4 1 mM e incubate per 48 ore a 200 rpm; a tale operazione fanno seguito la sonicazione e la centrifugazione. Le nanoparticelle sospese nel supernatante vengono quindi separate dalla soluzione mediante evaporazione lenta dell’acqua a 50-55°. Gli ioni di cloraurato acquoso sono ridotti ad oro metallico in esposizione alla massa batterica, rendendo peraltro più stabili le nanoparticelle: il colore della reazione vira dal giallo pallido al viola scuro, e ciò indica la formazione delle nanoparticelle. Utilizzando le formule opportune si è giunti a stabilire il diametro di queste nanoparticelle, compreso tra 10 e 100 nm, con un errore assoluto medio del 3%. In questo processo, il batterio funziona come una pompa di efflusso cellulare e come una proteina periplasmatica che lega specificamente le particelle alla superficie cellulare determinando l’alterazione della solubilità e della tossicità attraverso la riduzione, il bioassorbimento ed il bioaccumulo in assenza di specifici sistemi di trasporto metallici.
Da quanto detto, la sintesi biologica sembra essere indubbiamente vantaggiosa, non solo perché comprende un unico step, ma anche per il fatto di rivelarsi cost-effective e di richiedere un approccio molto generale, senza criteri particolarmente restrittivi.
Kalishwaralal et al. hanno utilizzato Au-NPs biologicamente sintetizzate per testare la loro capacità di inibire la neoangiogenesi retinica, utilizzando per i loro studi delle cellule endoteliali e cellule dell’epitelio retinico pigmentato di origine bovina [5,6]. In particolare è stato indagato il ruolo delle Au-NPs nell’inibizione della proliferazione e della migrazione cellulare indotte da VEGF e IL-1?, nonché del possibile meccanismo che ne è alla base, ossia della modulazione del pathway della Src.
Inibizione dell’angiogenesi VEGF-indotta in cellule endoteliali retiniche
L’angiogenesi è un processo fisiologico che prevede la crescita di nuovi vasi a partire da altri già esistenti. Un’angiogenesi patologica è responsabile dello sviluppo di complicanze oculari (retinopatia diabetica, neovascolarizzazione coroidea, degenerazione maculare correlata all’età, retinopatia del prematuro, ecc.), nella cui patogenesi è coinvolto il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) insieme con il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF). Questa neoangiogenesi è regolata da diversi fattori di crescita e citochine, che sono responsabili della disfunzione, della proliferazione e della migrazione delle cellule endoteliali, nonché della loro permeabilità attraverso il contatto adesivo con la matrice extracellulare. Allo stesso modo nell’angiogenesi tumorale il ruolo del VEGF è quello di elicitare la proliferazione delle cellule endoteliali e la crescita di nuovi vasi.
L’influenza delle Au-NPs sui fenomeni angiogenetici è stata esaminata quantitativamente studiando la proliferazione, la migrazione e i modelli di formazione di tubuli in vitro [5]. Per determinare il grado di citotossicità delle Au-NPs, le cellule endoteliali retiniche di bovino (BRECs) alla densità di 1 x 103 cellule/ml sono state esposte, nelle 24 ore, a varie concentrazioni di Au-NPs (da 100 nM a 600 nM), al fine di determinare il grado di citotossicità di queste ultime. L’esposizione a quantità superiori a 500 nM causa una morte cellulare significativa [5].
È stato poi studiato l’effetto delle Au-NPs sulla proliferazione delle BRECs indotta dal VEGF. Cellule alla densità di 1 x 103 cellule/ml sono state trattate con e senza Au-NPs (500 nM) o con PP2 (Proteine Fosfatasi tipo 2 inibitrici della Src, la famiglia di enzimi tirosin chinasici).
L’aggiunta di Au-NPs con VEGF riduce significativamente la proliferazione delle BRECs rispetto al controllo con solo VEGF [5]. Il PP2, inibitore della Src, è stato utilizzato come controllo positivo.
La Src gioca un ruolo chiave anche nel regolare la migrazione cellulare indotta dal VEGF e le modificazioni a livello endoteliale. La migrazione cellulare è certamente importante nella neoangiogenesi e conseguentemente nella crescita tumorale e nello sviluppo delle metastasi. Il metodo utilizzato per questo saggio è quello del cosiddetto “wound-healing”, in cui la ferita a livello delle BRECs è stata effettuata utilizzando la punta di una micro pipetta al fine di stimolarne la guarigione. La massima capacità delle Au-NPs di inibire la migrazione cellulare è stata ottenuta per concentrazioni di 500 nM, la stessa concentrazione cui si era osservata una significante riduzione nella proliferazione cellulare VEGF-indotta [5]: anche in questo caso, peraltro, le cellule sono state esposte a più concentrazioni di Au-NPs. È stata inoltre analizzata la capacità delle Au-NPs di impedire la migrazione e si è dimostrata la capacità di queste nanoparticelle di prevenire la migrazione cellulare. Uno stimolo alla migrazione ed una guarigione completa in 24 ore è stato osservato nelle piastre trattate con VEGF; al contrario una significativa area della ferita rimaneva scoperta in quelle trattate con Au-NPs se paragonate ai controlli. Quest’ultimo fenomeno si è peraltro osservato anche nelle piastre trattate con una combinazione di VEGF e Au-NPs [5].
Un altro step importante nel processo di angiogenesi è la formazione dei tubuli. Per esaminare i potenziali effetti delle Au-NPs sulla formazione di queste strutture sono stati utilizzati dei saggi bidimensionali su Matrigel. Quando le BRECs venivano collocate su di un Matrigel ridotto in VEGF, si formavano delle lunghe e robuste strutture simil-tubulari dopo un’incubazione in presenza di VEGF; la loro lunghezza veniva calcolata utilizzando un microscopio invertito a contrasto di fase. Le BRECs sono state inoculate sulla superficie del Matrigel e trattate con VEGF in presenza e/o assenza di Au-NPs (500 nM) e PP2. È stato rivelato che sia le Au-NPs che PP2 inibiscono la formazione di tubuli VEGF-indotta delle cellule endoteliali [8].
Destino delle Au-NPs
L’indagine condotta con microscopio elettronico a trasmissione (TEM) ha messo in evidenza come, dopo 6 ore, nei campioni di BRECs trattati con Au-NPs+VEGF, le nano particelle rimanessero per la maggior parte legate alla membrana cellulare e solo una piccola quantità fosse invece presente all’interno della cellula, negli endosomi. Nei campioni trattati invece con Au-NPs, sempre dopo un intervallo di tempo di 6 ore, le nanoparticelle sono state ritrovate perifericamente all’interno di endosomi o di corpi multi-vescicolari della cellula [5]. I risultati hanno rivelato che le particelle di dimensione di circa 50 nm vengono internalizzate nelle cellule endoteliali durante il trattamento con VEGF e con Au-NPs.
Downregulation della proliferazione cellulare VEGF- e IL-1-indotta nelle RPE
Dopo aver studiato gli effetti delle Au-NPs sulle cellule endoteliali, l’attenzione di Kalishwaralal et al. si è concentrata sull’epitelio retinico pigmentato, la componente più esterna della BRB coinvolta in alcune condizioni patologiche come la degenerazione maculare età-correlata e la proliferazione vitreo-retinica. Proprio quest’ultima è stata analizzata da tali Autori in un loro interessante studio [6].
La proliferazione vitreo retinica (PVR) è una delle maggiori complicanze oculari che possono far seguito al danno retinico e alla chirurgia del distacco di retina. Lo sviluppo, la migrazione e la proliferazione cellulare sono considerati come gli eventi che sono alla base dell’insorgenza della PVR. Questa condizione, lo ricordiamo, si caratterizza per la formazione di una membrana dovuta alla proliferazione e alla migrazione di cellule dell’epitelio retinico pigmentato (RPE), di fibroblasti e di cellule di M?ller sia sulla superficie retinica che sul vitreo. La contrazione delle membrane epiretiniche e subretiniche porta ad un distacco trazionale di retina e, nei casi peggiori, alla cecità.
Sebbene siano molti i fattori coinvolti, un ruolo chiave nella proliferazione e nella migrazione delle cellule dell’epitelio pigmentato è svolto dal VEGF e dall’effetto chemotattico dell’IL-1?. In particolare, il VEGF è coinvolto nella rottura della BRB e nella neoangiogenesi retinica; la IL-1?, invece, prodotta dalle cellule del RPE si accumula nei fluidi oculari durante i fenomeni flogistici, in caso di trauma e di PVR. Studi recenti hanno inoltre dimostrato come, in corso di PVR, aumenti anche l’espressione, oltre che di VEGF, anche dei suoi recettori VEGF-R1 e VEGF-R2 [7].
Per i motivi sopracitati, considerando che l’epitelio retinico pigmentato è una fonte di varie citochine e fattori di crescita e che la rottura della barriera emato-retinica può rilasciare un certo numero di fattori di crescita, la PVR può essere dunque spiegata come una condizione che determina una interazione non controllata tra fattori di crescita e citochine, da un lato, e differenti tipi di cellule dell’occhio, dall’altro.
Le Au-NPs sono state biologicamente sintetizzate in maniera analoga al metodo descritto in precedenza, utilizzando però il Brevibacterium casei. Le immagini ottenute al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) rivelavano che erano state sintetizzate delle nanoparticelle in oro quasi monodisperse (cioè aventi approssimativamente stessa dimensione e forma) delle dimensioni di 50 nm. Anche in questo caso, inoltre, le cellule del RPE sono state isolate a partire di occhi bovini (per questo le indicheremo ora con l’acronimo BRPEs) opportunamente trattati e successivamente messe in coltura. L’isolamento è stato eseguito con un semplice metodo di tripsinizzazione in tempi relativamente brevi. Tale metodo si è dimostrato abbastanza affidabile, economico e ha permesso di raccogliere un numero soddisfacente di cellule in tempi di processamento relativamente brevi [6].
Per analizzare l’effetto delle Au-NPs, del VEGF e della IL-1? sulla loro vitalità le BRPEs sono state trattate con varie concentrazioni di Au-NPs (da 1 a 1000 nM), VEGF e IL-1? e incubate per 24 ore. Relativamente alle Au-NPs, si è osservato come la vitalità delle BRPEs non viene compromessa fino a concentrazioni di 300 nM, ma all’aumentare di questo valore si evidenziava una significativa morte cellulare. Ciò lascia così dedurre la relazione dose-dipendente della riduzione della vitalità cellulare trattate con Au-NPs [6]. La stessa relazione si è osservata con il VEGF e la IL-1?, utilizzati per analizzare la proliferazione di BRPEs preventivamente trattate con siero bovino fetale (FBS) 0,5% per 8 ore. Dopo aver infatti fatto ricorso a varie concentrazioni di VEGF (5, 10, 25, 50 e 100 ng/ml) e di IL-1? (1, 5, 10, 25, 50 e 100 ng/ml) per 24 ore, si sono ottenuti dei risultati tali per cui il massimo effetto proliferativo era ottenuto per contrazioni di VEGF pari a 50 ng/ml e per concentrazioni di IL-1? di 25 ng/ml se paragonati ai controlli trattati esclusivamente con FBS 0.5% [6].
Si è quindi passati a studiare la capacità antiproliferativa delle Au-NPs sull’effetto indotto da VEGF e IL-1?: le BRPEs sono state per questo trattate con nanoparticelle in oro circa 30 minuti prima del trattamento con VEGF e/o IL-1?, per poi valutare la vitalità delle cellule stesse con un saggio MTT. L’aggiunta di 300 nM di Au-NPs al VEGF (50 ng/ml) e alla IL-1? (25 ng/ml) bloccava completamente la proliferazione indotta. Le Au-NPs erano inoltre altrettanto abili a bloccare l’effetto sinergico di VEGF e IL-1? [6]. Analogamente si è osservata una considerevole inibizione della formazione dei legami tra le cellule e dello sviluppo delle stesse indotto da VEGF e IL-1? e caratterizzato dalla formazione di un alone citoplasmatico chiaramente definito attorno al nucleo. Utilizzando tuttavia quantità di Au-NPs fino a 300 nM, si riusciva ad esercitare solo un controllo parziale [6].
Come abbiamo già avuto modo di accennare, in corso di PVR gli eventi più precoci sono rappresentati da migrazione e sviluppo cellulare. Pertanto, per conoscere gli effetti dei fattori di crescita sulla BRPEs, si è fatto ricorso ad un saggio wound-stratch. In sintonia con quanto ci si aspettava, sia il VEGF che la IL-1? favoriscono la migrazione delle cellule dell’epitelio pigmentato, mentre invece le Au-NPs la inibiscono. In particolare il trattamento con 50 ng/ml di VEGF e quello con 25 ng/ml di IL-1? accelera la migrazione cellulare e permette una completa chiusura della ferita nell’arco di circa 24 ore; al contrario il trattamento con 300 nM di AuNPs lascia scoperta sulla piastra un’ampia area della ferita [6].
Ruolo della Src e meccanismo d’azione delle Au-NPs
L’analisi dei due studi condotti da Kalishwaralal et al. mostra molte analogie relativamente al ruolo della Src nei fenomeni di neoangiogenesi, sia per quanto riguarda le cellule endoteliali retiniche che l’epitelio retinico pigmentato, testimoniando come l’inibizione del pathway della Src sia alla base dell’effetto delle Au-NPs [9].
Nel primo caso, con l’obiettivo di chiarire il ruolo della Src nella proliferazione delle cellule endoteliali indotta dal VEGF, delle BRECs sono state trasfettate con DN Src (DNA Dominant Negative Src) e con CA Src (DNA Consitutive Active Src). Le BRECs trasfettate sono state trattate con Au-NPs e PP2 (un inibitore specifico della Src) in presenza e in assenza di VEGF per 24 ore a 37° C. La sovra espressione del DN Src (cioè senza costituenti attivi, “deficient HA”) blocca significativamente la proliferazione cellulare VEGF indotta, portandola ai livelli dei controlli, mentre la sovra espressione di CA Src ha un effetto additivo dopo il trattamento con fattori di crescita. Ciò che è ancor più interessante è che il CA Src conferisce resistenza all’effetto inibitorio delle Au-NPs e delle PP2 sulla proliferazione cellulare: il trattamento con VEGF+Au-NPs e con VEGF+PP2 induce la proliferazione cellulare nelle cellule trasfettate con CA Src se paragonate ai controlli [5].
Nel secondo caso, ci si è comportati in maniera analoga ed i risultati ottenuti ben si conciliano con quelli dello studio precedente. Brevemente, le BRPEs sono state coltivate alla densità di 2 x 103 cellule per pozzetto, in 96 pozzetti e inserite in un IMDM (Iscove’s Modified Dulbecco Medium) con siero al 5% per 8 ore. Le cellule sono state poi incubate con 10 ?M di PP2 per 30 min prima del trattamento con VEGF (50 ng/ml) e Il-1? (25 ng/ml). Anche in questa occasione si è fatto ricorso ad un saggio MTT per determinare l’attività della Src chinasi nella proliferazione cellulare. Si è visto che il pre-trattamento con PP2 inibisce la proliferazione indotta da VEGF e IL-1?, in accordo con la teoria per cui è necessaria un’attività basale della Src affinchè le cellule possano proliferare. [6]
Anche in questo caso, la trasfezione di CA Src aumenta la proliferazione delle cellule dell’epitelio pigmentato, mentre quella del DN Src ne determina una riduzione. La sovra espressione del DN Src blocca la proliferazione mediata da VEGF e da IL-1?, portandola ai livelli dei casi controllo. Interessante notare inoltre come le Au-NPs non siano in grado di bloccare la proliferazione cellulare nelle cellule trasfettate con CA Src, indipendentemente dal fatto che esse vengano trattate con o senza VEFG o IL-1?. Queste sono, senza dubbio, delle prove relative al meccanismo d’azione delle AuNPs, secondo cui le nanoparticelle in oro sono in grado di inibire l’effetto proliferante delle BRPEs indotto da VEGF e IL-1b attraverso il blocco del pathway della Src. [6]
Per supportare l’ipotesi secondo cui gli effetti inibitori delle AuNPs e del PP2 fossero specificamente diretti dal pathway della Src, sono stati condotti dei saggi immunologici che hanno dimostrato come il trattamento con VEGF e IL-1? aumentasse significativamente i livelli di Src fosforilata (Y419). Nelle BRECs indotte con VEGF, il trattamento con AuNPs determina una netta riduzione di tale fosforilazione a livelli paragonabili a quelli dei controlli [5]. In merito alle cellule dell’epitelio retinico pigmentato, invece, i livelli di Src fosforilata si abbassano con l’utilizzo di 300 nM di AuNPs in maniera preventiva al trattamento con 50 ng/ml di VEGF o con 25 ng/ml di IL-1?.
Questi risultati evidenziano chiaramente come le nanoparticelle in oro inibiscano il processo di proliferazione cellulare indotto da VEGF e IL-1? andando ad inibire l’attivazione della proteina Src fosforilata [6].
La somministrazione di nanoparticelle per via endovenosa
Gli studi finora presi in considerazione mostrano come le nanoparticelle in oro siano effettivamente in grado di esprimere, in vitro, le loro funzioni sia a livello delle cellule endoteliali che dell’epitelio retinico pigmentato, lasciando dunque trasparire delle ottime potenzialità. Giunti a questo punto ci si chiede però se effettivamente le nanoparticelle possano essere utilizzate nella comune pratica clinica, quella con il quale il medico deve interfacciarsi quotidianamente tenendo conto delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche del farmaco che deciderà di somministrare al proprio paziente. Perciò, pur essendo doveroso sottolineare l’importanza dei test in vitro, dai quali non si può e non si deve assolutamente prescindere, è altrettanto vero che bisogna considerare, in vivo, la capacità delle nanoparticelle di attraversare la barriera emato-retinica, il loro volume di distribuzione, la loro eventuale tossicità.
Di recente diversi Autori hanno parlato di una distribuzione dimensioni-dipendente delle Au-NPs all’interno dei tessuti in vivo [8,9]: nello specifico, nanoparticelle delle dimensioni di 10 nm erano largamente distribuite in tutti i vari tessuti, compreso quello retinico, mentre quelle di dimensioni superiori a 50 nm erano state ritrovate solo a livello ematico. Per quanto in questi due lavori non venga indagato il potenziale effetto tossico delle nanoparticelle, o per lo meno la possibilità di interazione con le molecole biologiche, c’è un dato che emerge chiaramente: le Au-NPs sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica (blood-brain barrier, BBB) e quindi la barriera emato-retinica. Molto interessante a tal proposito è il lavoro prodotto da un gruppo di studio coreano [10] che analizza la distribuzione delle nanoparticelle e il loro effetto citotossico nei vari strati retinici a seguito della somministrazione di Au-NPs per via endovenosa nei topi. A 24 ore dalla somministrazione di Au-NPs di dimensioni di 20 nm e 100 nm in due gruppi distinti di topi, gli stessi sono stati sacrificati e le loro retine analizzate al microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Le particelle di 100 nm non sono state reperite a livello retinico, mentre quelle di 20 nm sono state in grado di attraversare la BRB e distribuirsi in tutti gli strati retinici e soprattutto nei neuroni, nelle cellule endoteliali e nelle cellule gliali peri-endoteliali [10]. Nessuna cellula in cui le Au-NPs erano presenti mostrava alcuna alterazione strutturale rispetto alle cellule che invece ne erano prive [10].
Anche la valutazione dei cambiamenti istologici nei 7 giorni successivi alla somministrazione endovenosa di Au-NPs ha dato buoni risultati: rispetto ai controlli, infatti, in nessuno strato retinico sono state osservate delle alterazioni istologiche, né tantomeno erano presenti cellule infiammatorie a livello di vitreo, retina o coroide [10]. Un TUNEL assay ha poi messo in evidenza come il numero di cellule apoptotiche a livello retinico non aumentasse a seguito della somministrazione endovenosa di Au-NPs se paragonate con i controlli [10]. Allo stesso tempo, non si sono registrate alterazioni neanche nella espressione di due componenti di membrana delle cellule endoteliali retiniche, ossia ZO-1 in corrispondenza delle tight-junctions e glut-1, che è il più importante trasportatore di glucosio della BRB. Anche la vitalità delle cellule del retinoblastoma e degli astrociti rimaneva sostanzialmente invariata dopo trattamento con Au-NPs di 20 nm [10].
Conclusioni
Le Au-NPs hanno finora mostrato di essere delle potenti sostanze anti-angiogenetiche, capaci di agire sul VEGF e sulla IL-1? ed in grado di esplicare il loro effetto sia a livello dell’epitelio pigmentato retinico che delle cellule endoteliali della retina. La possibilità di interferire con quei processi che sono fondamentali nel fenomeno della neoangiogenesi, quali la proliferazione, la migrazione cellulare, la fosforilazione della Src VEGF- e IL-1?-indotta, le rende indiscutibilmente interessanti sotto il profilo terapeutico, non solo nel campo dell’Oftalmologia ma anche e soprattutto in quello oncologico.
È doveroso far riferimento alla citotossicità delle Au-NPs, dato che questa rappresenta un parametro di interesse primario per un qualsiasi farmaco ed in particolare per un potenziale farmaco. Sebbene concentrazioni superiori a 500 nM siano state responsabili di un aumento quantitativo di morte cellulare a livello endoteliale [5], è altrettanto vero che in nessuna delle cellule dei dieci strati che compongono la retina è stata registrata tossicità o aumento dell’apoptosi a seguito della somministrazione di nanoparticelle delle dimensioni di 20 nm.
Proprio la possibilità per le Au-NPs di 20 nm di attraversare la BRB rappresenta un aspetto davvero molto interessante in previsione di una loro possibile applicazione terapeutica nella pratica clinica oftalmologica. Considerando anche la capacità di non indurre, in nessuna delle cellule retiniche, eventi flogistici, alcuni Autori sono arrivati a suggerirle come un possibile alternativa anche per la drug delivery da applicare in vivo [13].
Le Au-NPs hanno dunque delle ottime potenzialità. Al giorno d’oggi sono diversi i farmaci utilizzati in campo oftalmologico per inibire la neovascolarizzazione retinica: basti pensare al bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato con alta affinità per il VEGF umano somministrato mediante iniezione intravitreale, o al pegaptanib sodico, un aptamero anti-VEGF che inibisce in maniera selettiva l’isoforma 165. Si tratta di farmaci straordinari, di provata efficacia, ma anche molto costosi in virtù dei metodi utilizzati per la loro produzione ed il loro sviluppo. In aggiunta, malgrado i considerevoli effetti anti-VEGF degli anticorpi monoclonali, esistono delle limitazioni legate soprattutto al fatto che sono richieste più iniezioni intravitreali per anno, sino anche a sette od otto, con il rischio concreto di aumentare le complicanze legate all’iniezione stessa.
Inoltre, l’inibizione diretta attraverso anticorpi monoclonali anti-VEGF può aggravare una ischemia retinica, indurre la distruzione dei mitocondri nei fotorecettori o influenzare in qualche modo il comportamento delle cellule neuronali retiniche [11, 12, 13]. Per questo motivo le Au-NPs di dimensioni di 20 nm, in virtù della loro capacità di attraversare la BRB, potrebbero per esempio essere pensate come un supporto da utilizzare per aumentare la biodisponibilità dei farmaci nella retina e nel cervello. In tal caso, però, potrebbe presentarsi il problema della tossicità legato ad una maggiore biodistribuzione del farmaco in questi siti: pertanto occorrono, senza ombra di dubbio, nuovi studi volti a stabilire con esattezza quali tipi di particelle devono o possono essere effettivamente somministrate, le loro dimensioni, le concentrazioni, le modalità di somministrazione in grado di ridurre al minimo gli effetti tossici od indesiderati ma che aumentino anche la biodisponibilità del farmaco in modo tale da evitare gli inconvenienti attualmente legati alla necessità di numerose iniezioni intravitreali. L’utilizzo delle nanoparticelle in oro potrebbe dunque rappresentare un ottimo, interessante ed innovativo punto di partenza per il futuro dell’oftalmologia.
Pietro Distante
Almo Collegio Borromeo di Pavia
E-mail: piero_distante@libero.it
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Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile