Le neovascolarizzazioni sottoretiniche idiopatiche
Nei soggetti di età inferiore ai 50 anni il riscontro di una membrana neovascolare sotto-retinica (CNV) deve promuovere indagini per escludere le cause associate, per prima la miopia patologica, successivamente le strie angioidi, quindi una flogosi del segmento posteriore (CNV post-infiammatorie) (1), o rotture traumatiche della coroide, iatrogene (2), aplasia del nervo ottico (3), osteoma della coroide (4), nevo coroideale (5-6), retinopatia da radiazioni (7). Laddove tutte queste cause siano state escluse si pone diagnosi di CNV idiopatica. Le CNV idiopatiche hanno una storia naturale con decorso benigno, tendono ad autolimitarsi ed a regredire spontaneamente, indipendentemente dalla sede della lesione, con un residuo funzionale utile nella maggior parte dei casi (75% ? 20/60), e rara evenienza di recidive (8-9).
Indice di regressione spontanea e fattore prognostico positivo sembra essere la presenza di un bordo di delimitazione ipofluorescente in ICGA, non sempre visibile in oftalmoscopia e FAG, cui corrisponderebbe una proliferazione multi-stratificata dell’EPR, segno di un processo involutivo dimostrato nel modello animale e nell’uomo nelle CNV da pseudoistoplasmosi (10).
Le CNV idiopatiche sono classificate come tipo 2 secondo Gass, con crescita al di sopra dell’epitelio pigmentato retinico: nei soggetti giovani la stretta adesione anatomica tra EPR e membrana di Bruch potrebbe spiegare questo modello di crescita, e l’integrità dell’EPR potrebbe rendere conto dell’evoluzione prognostica migliore che in altre forme di CNV (9, 11).
L’ICGA mostra, inoltre, delle aree focali di iper-permeabilità vascolare distanti ed indipendenti dalla CNV analoghe a quelle che si osservano in corso di corio-retinopatia sierosa centrale, e suggerisce una condizione infiammatoria subclinica predisponente anche in queste forme ad eziopatogenesi ancora discussa. L’OCT conferma la posizione al di sopra dell’EPR con integrità della banda iperreflettente relativa all’EPR stesso e mostra due pattern principali di comportamento: un aspetto “protrudente”, associato ad elevazione del profilo maculare, e un aspetto “fusiforme” in cui la iperreflettività del complesso EPR-Bruch si confonde con quella della lesione stessa. Il primo è riferito alla fase di attività, mentre l’involuzione è indicata dal secondo (12-13).
La discussa origine infiammatoria delle forme idiopatiche giovanili trova un elemento di forza nella risposta clinica alla terapia steroidea, sia per os che per via sottotenoniana o intravitreale (14).
Per le forme extra-foveali rimane possibile la scelta della fotocoagulazione diretta argon o krypton, senza dati che però dimostrino un risultato funzionale finale migliore di quello della storia naturale (9).
[caption id="" align="alignleft" width="150"] Ph. 1 – CNV idiopatica pre PDT[/caption]
La terapia fotodinamica (PDT) nelle CNV idiopatiche ha mostrato la sua efficacia nello stabilizzare e migliorare il visus in oltre il 65% dei pazienti con un basso tasso di ripetizione del trattamento (media 1,1-2,1), seppure con il rischio associato di alterazioni atrofiche dell’EPR nell’area di trattamento (Figg. 1-2). L’associazione con la somministrazione di steroide riprende il razionale della verosimile eziopatogenesi infiammatoria, e uno studio randomizzato ha mostrato una risposta clinica significativamente migliore se la PDT è associata a steroide per os (15-20).
[caption id="attachment_1948" align="alignleft" width="150"] Ph. 2 – CNV Idiopatica post PDT[/caption]
L’alternativa terapeutica è l’escissione chirurgica che consente di prevedere buoni risultati funzionali in ragione del tipo di neovascolarizzazione (tipo 2 di Gass) e dell’integrità dell’EPR sottostante(21-22)
Infine l’introduzione delle terapie iniettive con farmaci anti-VEGF ha ampliato lo spettro terapeutico anche per queste forme di neovascolarizzazione sottoretinica, con una risposta a singole o multiple somministrazioni mensili di bevacizumab in termini di miglioramento della acuità visiva e di assenza di leakage angiografico a sei mesi nel 70-100% dei casi e un miglioramento dell’acuità visiva di almeno due linee di Snellen nel 60-75% dei casi. L’efficacia terapeutica del bevacizumab è stata osservata anche nei casi che non avevano risposto ad altre modalità terapeutiche (23-25).
La termoterapia trans-pupillare, nell’unico lavoro evidenziato in letteratura, ha mostrato efficacia nel migliorare e stabilizzare il visus nell’81% di 21 pazienti trattati (26).
Tuttavia ricordiamo che per nessuna delle terapie su-elencate esistono studi di efficacia di tipo randomizzato controllato e le indicazioni nascono da studi osservazionali su gruppi di pazienti comunque limitati in numero e senza gruppi di controlli; peraltro la buona prognosi della storia naturale rende a nostro avviso obbligatorio informare il paziente circa la possibilità di adottare semplicemente una strategia di osservazione.
Le neovascolarizzazioni sottoretiniche post-infiammatorie
[caption id="attachment_1949" align="alignleft" width="150"] Ph. 3 – CNV post toxo[/caption]
La neovascolarizzazione sottoretinica (CNV) è possibile sebbene rara complicanza delle uveiti (1), siano esse corioretiniti che uveopapilliti, di natura infettiva come immunologica. Non sono noti se non sporadici dati sulla frequenza di questa complicanza, ma è stata descritta associata a sarcoidosi e malattia di Behçet (1), a corioretinite toxoplasmica (2-3) (Figg. 3-4), forse la forma più conosciuta insieme alla forma che complica la coroidite multifocale (4), ma anche più raramente complicanza della istoplasmosi presunta, coroidite multifocale, coroidite serpiginosa (1), della sindrome di Vogt-Konayagi-Harada (5) e della rosolia (6).
[caption id="attachment_1950" align="alignleft" width="150"] Ph. 4 – CNV post toxo[/caption]
Nella coroidite multifocale è riportata una incidenza del 22%, e la CNV costituisce la principale causa di grave compromissione visiva in questa coorte di pazienti (45% dei casi), prima di edema maculare cistoide e di membrane epiretiniche, associata a ridotta acuità visiva nei tre quarti dei pazienti (<20/50) (1). Se la durata della malattia è direttamente correlata al rischio di sviluppare l’edema maculare cistoide, non sembra che tale correlazione esista con il rischio di sviluppare la CNV, sì da poter considerare la neovascolarizzazione sottoretinica come una complicanza anche precoce della malattia. La terapia immunosoppressiva (azatioprina, ciclosporina, micofenolato mofetil…) sembra ridurre dell’83% il rischio di recidive di CNV, ma non esistono dati circa la riduzione del rischio di insorgenza della CNV stessa; al contrario non ha funzioni protettive nei confronti di tutte le complicanze posteriori l’uso cronico di steroidi a basso dosaggio (1).
L’escissione chirurgica è riportata efficace in caso di CNV complicata a istoplasmosi presunta (7), coroidite multifocale, coroidite serpiginosa, malattia di Behçet (1), retino coroidite toxoplasmica (8). Il successo terapeutico della escissione chirurgica trova spiegazione nella condizione di membrane di tipo 2 secondo Gass, analogamente a quanto accede nelle forme idiopatiche, che giacciono al di sopra dell’epitelio pigmentato retinico altrimenti sano e con un naturale piano di clivaggio dato dalle forti aderenze tra EPR e membrana di Bruch (8).
Davanti comunque all’abbandono generale dell’approccio chirurgico per le CNV, la terapia fotodinamica è stata utilizzata in valutazioni cliniche singole in caso di rosolia (9), sindrome di Vogt-Konayagi-Harada (10), coroidite multifocale (11-12), coroidite puntata interna (13-15), istoplasmosi presunta (14) e coroidite serpiginosa (15). La PDT sembra in questi pazienti avere una soddisfacente efficacia nello stabilizzare il visus e nell’indurre la fibrosi cicatriziale della lesione, con una media di ritrattamento di 2,6 (9-16).
Tuttavia riteniamo ancora oggetto di discussione la correttezza dell’indicazione: la terapia fotodinamica è per sé “flogogena” e nell’applicarla a queste forme di neovascolarizzazione che riconoscono nella flogosi il primum movens bisognerebbe quantomeno associare una terapia steroidea di concerto, per via intravitreale o per os (13,17). Razionale maggiore riscontriamo nel proporre la terapia con farmaci antiVEGF, laddove è noto che il VEGF ha un ruolo nella flogosi posteriore dell’occhio e verosimilmente anche nell’evenienza delle complicanze neovascolari (18). Anche per questa terapia non ci sono che segnalazioni puntuali di trattamento di piccoli gruppi di pazienti, senza peraltro schemi di trattamento standardizzati. In un unico lavoro scientifico, il bevacizumab mostra efficacia terapeutica nel 100% dei casi quanto a silenzio clinico della neovascolarizzazione e nel 90% dei casi quanto a miglioramento dell’acuità visiva, nel restante 10% ottenendo una stabilizzazione del visus anche solo dopo una iniezione (19).
È opportuno quindi sottolineare l’arbitrarietà attuale di qualsiasi forma di trattamento per queste forme neovascolari in assenza di trial di efficacia, peraltro non realizzabili facilmente per la limitata incidenza di questa patologia. Sarebbe auspicabile piuttosto che strutture di riferimento terziario per le uveiti pianificassero strategie comuni di trattamento per potere supportare un confronto scientifico di efficacia tra vari protocolli. A nostro avviso l’indicazione attuale più corretta rimane quella della terapia fotodinamica associata sempre a steroide (per os, per via intravitreale), perché la efficacia della combinazione sembra supportata dal maggior numero relativo di studi. Tuttavia il razionale della terapia con farmaci anti-VEFG è presente e convincente, sebbene ad oggi rafforzato da un solo studio di tipo “serie di casi”. Le strategie terapeutiche potranno essere ulteriormente cambiate dall’attesa introduzione in commercio dei dispositivi intravitreali a rilascio lento di cortisone.
Dott.ssa Maria Vadalà,
Dott. Stefano Cipolla
Dipartimento di Neuroscienze Cliniche, Sezione di Oftalmologia, Università di Palermo
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Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile