Un rapido excursus dalla diagnosi alla terapia: tracciamo un quadro sintetico della patologia approfittando dell’expertise clinica e chirurgica del dott. Antonello Rapisarda, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oftalmologia dell’Ospedale Garibaldi di Catania.
Il glaucoma è in genere asintomatico negli stadi iniziali, quali sono gli esami diagnostici più avanzati per una corretta diagnosi e quanto è importante individuare la patologia in fase precoce?
Il glaucoma (GL) rappresenta un ampio spettro di malattie oculari, caratterizzate da un danno progressivo al nervo ottico e allo strato delle fibre nervose retiniche con associato deficit del campo visivo. Tale patologia è multifattoriale ed il principale fattore di rischio è rappresentato dall’elevata pressione intraoculare; a questo si associano altri fattori quali familiarità, età, razza, miopia ed anomalie vascolari sistemiche.
I danni morfologici e funzionali prodotti dal glaucoma sono irreversibili, per cui risulta fondamentale una diagnosi precoce allo scopo di iniziare una terapia adeguata prima dell’istaurarsi di deficit visivi permanenti. La diagnosi di base del GL si fonda sulla visita oculistica completa (anamnesi, visus, esame segmento anteriore, gonioscopia, tonometria e fundus con particolare attenzione all’analisi della papilla del nervo ottico), sull’esame del campo visivo e sulla valutazione dello spessore corneale (pachimetria). Tale processo diagnostico, che ancora oggi rappresenta il “gold standard” nella diagnosi e nella valutazione della progressione del danno glaucomatoso, ha quale limite quello di non permettere l’individuazione della patologia nelle sue fasi iniziali: i danni funzionali evidenziati al campo visivo seguono infatti di parecchio le lesioni morfologiche a carico del nervo ottico.
Nell’ultimo decennio sono state sviluppate delle metodiche strumentali ad elevata tecnologia (“hi-tech”), quali OCT, HRT e GDX, che permettono un’individuazione delle alterazioni della papilla del nervo ottico e dello strato delle fibre nervose retiniche. Tali esami “hi-tech” rappresentano un valido aiuto per una diagnosi precoce del glaucoma e per una più accurata valutazione della progressione della patologia conclamata.
Qual è il primo approccio terapeutico in caso di glaucoma?
Ancora oggi la terapia fondamentale del glaucoma si basa sulla riduzione della pressione oculare con metodiche farmacologiche, laser o chirurgiche. Tuttavia, bisogna tenere presente che lo scopo della terapia antiglaucomatosa non deve essere limitato al solo controllo della tensione endoculare, ma deve tenere in considerazione l’individuo nella sua completezza. Infatti, come evidenziato dalle linee guida Europee, la finalità del trattamento del glaucoma è di mantenere la qualità di vita del paziente ad un costo economico accettabile.
Il mantenimento della qualità della vita implica la conservazione della funzione visiva, la scarsa presenza di effetti collaterali locali e sistemici ed un regime terapeutico il più possibile semplice. Il concetto di costo sostenibile è altrettanto importante e pertinente alla luce delle limitate risorse economiche del servizio sanitario nazionale: ciò non implica che le scelte terapeutiche debbano conseguentemente orientarsi verso farmaci o trattamenti a basso prezzo, ma indica piuttosto che la gestione generale della malattia debba essere ottimizzata in funzione dei costi (impiegando monoterapie, utilizzando trattamenti efficaci che riducano la necessità di eccessivi controlli specialistici, evitando deficit funzionali etc.).
Il primo approccio terapeutico del glaucoma, come è noto, prevede la somministrazione di farmaci ipotonizzanti topici. Richiamando i principi generali precedentemente esposti, un farmaco antiglaucomatoso deve presentare le seguenti caratteristiche:
– un’elevata azione ipotonizzante al fine di raggiungere il valore pressorio “target”;
– un’efficacia costante nel tempo, sia nelle 24 ore che nel lungo termine;
– un’elevata tollerabilità locale e sistemica;
– un’efficacia con il minimo di somministrazioni (posologia) per garantire una buona “compliance”.
In base a quanto detto, la terapia farmacologica va iniziata in monoterapia, così permettendo di verificarne l’efficacia, riducendo costi e complicanze e migliorando la “compliance”. Nel caso in cui il farmaco sia efficace nel raggiungere la pressione “target” e ben tollerato bisogna proseguire con la stessa terapia; viceversa, se il farmaco risulta inefficace e/o non tollerato, esso andrà sostituito con un altro. Solo nel caso di una molecola tollerata ed efficace, ma non capace di raggiungere il “target” pressorio è opportuno procedere ad un’associazione terapeutica con un altro farmaco.
Le Linee Guide Europee suggeriscono in prima battuta tutti i farmaci ipotensivi e gli studi identificano le prostaglandine come i farmaci topici più efficaci per ridurre la pressione intraoculare. Qual è la sua esperienza clinica a riguardo?
Gli analoghi delle prostaglandine (PG), com’è noto, costituiscono una categoria di molecole che presenta un meccanismo d’azione particolare ed unico tra i farmaci ipotensivi oculari, incrementando il deflusso uveosclerale. Tali farmaci, di cui il latanoprost rappresenta il capostipite, hanno rivoluzionato la gestione del glaucoma spostandola sempre più verso un trattamento farmacologico piuttosto che chirurgico. Numerosi studi clinici hanno evidenziato i vantaggi in termini di efficacia clinica della PG rispetto alle altre categorie di farmaci iponotizzanti. Infatti, gli analoghi delle prostaglandine esprimono tutte quelle caratteristiche (precedentemente esposte) di efficacia, tollerabilità e “compliance” che vengono ricercate in una molecola antiglaucomatosa. Inoltre le PG , grazie al particolare meccanismo d’azione, risultano essere estremamente idonee all’associazione con tutti gli altri farmaci ipotonizzanti.
In base a quanto detto gli analoghi delle prostaglandine oggi rappresentano, nella nostra pratica clinica, delle insostituibili molecole per la gestione farmacologica del glaucoma.
Sul mercato sono presenti oltre 10 prodotti equivalenti a base di latanoprost, commercializzati da diverse aziende farmaceutiche. Qual è il suo approccio verso i farmaci equivalenti?
In primo luogo è molto importante fare chiarezza sulla terminologia, sulla definizione, sulle caratteristiche di efficacia e di costo di un farmaco generico o equivalente in base a quanto indicato dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Per farmaco generico si intende un medicinale che contiene la stessa quantità di principio attivo e presenta la stessa biodisponibilità di un altro di marca con brevetto scaduto.
La definizione di medicinale equivalente è stata introdotta in Italia con la legge 149 del 2005. La modifica del nome in “equivalente” è stata disposta dal Ministero della Salute, al fine di evitare che il termine “generico” potesse essere considerato in qualche misura riduttivo per questa tipologia di farmaci.
Tuttavia entrambi i termini sono corretti ed identificano un medicinale che contiene la stessa quantità di principio attivo e presenta la stessa biodisponibilità di un altro di marca con brevetto scaduto.
Se con il termine “generico” si poneva l’accento sulla denominazione del medicinale, che non è più quello del marchio registrato bensì quello del principio attivo seguito da quello dell’azienda produttrice, con il termine “equivalente” si vuole sottolineare l’equivalenza terapeutica rispetto al farmaco Originator.
Due prodotti medicinali si dicono bioequivalenti se le loro biodisponibilità, cioè la quantità e la velocità con le quali il principio attivo è rilasciato ed è reso disponibile in circolo, sono equivalenti.
La bioequivalenza viene dimostrata con studi sulla biodisponibilità: se i due farmaci a confronto mostrano una simile biodisponibilità sono anche, per definizione, terapeuticamente equivalenti e gli studi di equivalenza terapeutica non sono necessari. La biodisponibilità, tuttavia, è valutabile solo con riferimento ai farmaci a somministrazione sistemica, mentre questo parametro non è valutabile nel caso di farmaci topici, come i colliri.
La concessione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) di un’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) di un farmaco equivalente si basa sulla dimostrazione della qualità del prodotto e della sua bioequivalenza rispetto al medicinale Originator (quest’ultima condizione si applica esclusivamente ai farmaci a somministrazione sistemica).
Il farmaco equivalente costa meno rispetto all’Originator perché sono già stati recuperati, durante il periodo di monopolio concesso dal brevetto, gli investimenti sostenuti in ricerca. È noto che per dimostrare l’efficacia e la sicurezza terapeutica di un nuovo farmaco è necessario sperimentarlo su centinaia, o addirittura migliaia, di soggetti: tale sperimentazione com’è evidente richiede impiego di tempo ed implica costi elevati. L’azienda che mette in commercio un medicinale generico, invece, è esentata dalla dimostrazione dell’efficacia terapeutica in quanto, se il principio attivo raggiunge nei tessuti gli stessi livelli ottenuti dal medicinale Originator (se è cioè bioequivalente a questo), presenta anche la stessa efficacia terapeutica. Dimostrare la bioequivalenza rispetto ad un farmaco di efficacia e sicurezza note richiede tempi e costi molto minori, per cui il farmaco generico può essere posto in commercio ad un prezzo inferiore.
Quando la protezione brevettuale di un farmaco rimborsato dal SSN scade e vengono autorizzati uno o più medicinali equivalenti, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) include sia l’Originator che i generici corrispondenti in una lista, aggiornata mensilmente, chiamata lista di trasparenza. In questa lista il medicinale Originator e i generici corrispondenti vengono elencati insieme, con il corrispondente prezzo di riferimento. Il prezzo di riferimento corrisponde al prezzo più basso offerto sul mercato per quel farmaco ed è anche il prezzo rimborsato dal SSN. Se un farmaco compare sulla lista di trasparenza e il medico non specifica nella prescrizione che il farmaco è “non sostituibile”, il farmacista deve proporre al paziente il medicinale generico offerto al prezzo di riferimento. Nel caso che il medico apponga l’indicazione “non sostituibile” o il paziente non accetti la sostituzione, l’eventuale differenza tra il prezzo di riferimento e il prezzo al pubblico è a carico del paziente.
In base a quanto precedentemente esposto occorre allora chiedersi quale sia il ruolo del medico? Si tratta di un ruolo relativamente importante: spesso il paziente, informato dal farmacista della possibilità di sostituire il farmaco generico all’originale, chiede al proprio medico di confermare o meno questa scelta.
Inoltre, si assiste oggi al consolidarsi della tendenza alla prescrizione dei farmaci equivalenti poiché il medico acquista la consapevolezza che, attraverso il loro utilizzo, è possibile realizzare un forte risparmio per il SSN, pur continuando a garantire adeguate terapie e corretta assistenza farmaceutica al cittadino.
In base alla Sua esperienza clinica, quando è necessario sottoporre un paziente a un trattamento chirurgico?
Come ben indicato nelle linee guida Europee, la terapia chirurgica del glaucoma è indicata quando la terapia medica non è appropriata, non è tollerata, non è efficace e/o non è adeguatamente eseguita dal paziente e il glaucoma risulta incontrollato con un danno progressivo documentato o con un alto rischio di progressione della malattia.
Tuttavia per quanto si cerchi di effettuare una schematizzazione delle indicazioni alla terapia chirurgica, la scelta di intraprendere un intervento, nella nostra pratica clinica, è sempre molto complessa e condizionata da molteplici fattori che possono essere sinteticamente esemplificati come segue:
– il tipo di paziente (età, “compliance”, esigenze personali, fattori di rischio per glaucoma etc.);
– il tipo di glaucoma;
– lo stato della papilla del nervo ottico e del campo visivo (gravità del danno glaucomatoso);
– il “target” pressorio raggiunto ed il tipo e numero di farmaci impiegati;
– il “target” pressorio che s’intende raggiungere (da valutare caso per caso);
– la sicurezza dell’intervento chirurgico previsto;
– l’efficacia dell’intervento chirurgico previsto (recupero visivo e raggiungimento del “target” pressorio).
Vista la molteplicità degli elementi che possono influire sulla valutazione di procedere o meno all’esecuzione di un trattamento chirurgico e, successivamente, sull’eventuale scelta della metodica da eseguire, risulta estremamente difficile fornire uno schema generale che possa essere di ausilio in una decisione che, pertanto, andrebbe presa caso per caso.
La trabeculectomia rappresenta tuttora il “gold standard” nella chirurgia del glaucoma?
La trabeculectomia ancora oggi è considerata l’intervento di prima scelta nella chirurgia del glaucoma, poiché è quella che nel lungo termine riesce a raggiungere un soddisfacente controllo della pressione intraoculare. Tale metodica chirurgica, che produce una “fistola protetta” tra camera anteriore e spazio sottocongiuntivale (riducendo la pressione oculare), è stata soggetta, negli oltre quarant’anni dalla sua invenzione, a molte variazioni cha hanno riguardato la costruzione dello sportello sclerale (dimensioni, forma e spessore) e del lembo congiuntivale (base fornice o limbus), le suture applicate (numero, rilasciabili o non rilasciabili) e l’uso degli antimetaboliti per ridurre la cicatrizzazione. La percentuale di successo (da sola o con aggiunta di terapia topica) riportata in letteratura può raggiungere il 90% a due anni dall’intervento; tuttavia tra i vari Autori si registrano significative differenze in merito alla definizione del concetto di successo. A ciò occorre poi aggiungere come alcuni pazienti necessitino la ripetizione dell’intervento e/o di ulteriore terapia medica.
Infine è altrettanto importante ricordare come la buona riuscita della trabeculectomia sia strettamente dipendente dalla realizzazione di un’efficiente bozza filtrante, e come le modificazione della congiuntiva, indotte dalla terapia topica protratta, rappresentino uno dei principali fattori in grado di inficiare il funzionamento di tale struttura.
Vogliamo accennare brevemente ai problemi cicatriziali nella chirurgia filtrante ed ai possibili accorgimenti che possono essere eseguiti per limitarli al fine di migliorare i risultati chirurgici?
Com’è noto la risposta cicatriziale che si ha a livello della bozza filtrante rappresenta la principale causa di fallimento della trabeculectomia. Questo evento biologico ostacola il deflusso dell’acqueo e di conseguenza modifica il “target” pressorio che s’intende ottenere con l’intervento chirurgico.
Gli eventi biologici che danno vita alla risposta cicatriziale sono rappresentati dall’attivazione dei fibroblasti (conseguente alle incisioni chirurgiche congiuntivali, episclerali e sclerali) e dall’attivazione dei fattori di coagulazione e del complemento.
Le sostanze che comunemente vengono utilizzate intraoperatoriamente per inibire la cicatrizzazione sono gli antimetaboliti e gli inserti. I primi appartengono a quella categoria di farmaci che è in grado di prevenire i fenomeni cicatriziali a seguito di chirurgia filtrante, per favorirne il successo chirurgico. Quelli più frequentemente utilizzati sono il 5-fluorouracile (5-FU) e la mitomicina-C (MMC). Il 5-FU è un chemioterapico di fase S che inibisce la replicazione cellulare integrandosi nel DNA attraverso una trasformazione fraudolenta. Viene utilizzato alla concentrazione di 25-50 mg/ml di soluzione non diluita. La MMC è un antibiotico antitumorale (isolato dalla fermentazione dello Streptomyces Coespitosus), che viene utilizzato ad una concentrazione che va da 0,1 a 0,5 mg/ml, per un tempo di applicazione da2 a 4 minuti. Nella mia pratica clinica preferisco utilizzarela MMC ad una concentrazione fissa di 0,2 mg/ml variandone il tempo di applicazione in funzione del caso e dell’entità di inibizione dei processi cicatriziali necessario. È opportuno ricordare che l’impiego degli antimetaboliti, quali modulatori della cicatrizzazione nella trabeculectomia, si basa solo su evidenze cliniche, non già su un’approvazione ufficiale (farmaci off-label).
Gli inserti (Aqua Flow, SK Gel, T Flux, Healon Flow), alcuni riassorbibili altri no, sono stati ideati per svolgere la funzione di conformatori che, mantenendo gli spazi, evitano il precoce contatto tra i vari tessuti della bozza filtrante e di conseguenza riducono i processi fibrotici.
Infine per modulare la cicatrizzazione nel post-operatorio vengono utilizzati gli antimetaboliti somministrati per via sottocongiuntivale ed il “needling” della bozza.
L’endoftalmite costituisce una complicanza frequente in questo tipo di chirurgia?
L’endoftalmite rappresenta una complicanza, per quanto fortunatamente non molto frequente, tuttavia estremamente grave, che può comparire anche a distanza di mesi o di anni: può manifestarsi infatti come complicanza precoce (1%) o tardiva (0,2%). Le bozze filtranti più esposte ad una contaminazione infettiva sono quelle cistiche, con congiuntiva sottile e traslucida, con Seidel positivo e nelle quali abbiamo impiegato antimetaboliti, occorre di conseguenza prestare particolare attenzione in tali circostanze.
Per completare la nostra intervista vorremo la Sua opinione su tecniche chirurgiche alternative alla trabeculectomia quali Canaloplastica e Cy-pass?
La Canaloplastica e l’impianto di Cy-pass appartengono alle tecniche di chirurgia microinvasiva del glaucoma (MIGS ).La Canaloplasticasi avvale dell’utilizzo di un micro catetere che, introdotto nel canale di Schlemm, determina la dilatazione dello stesso, ripristinando così le vie naturali di deflusso; infatti provocando delle microfratture del trabecolato, l’aumento del metabolismo della matrice extracellulare e un’azione indiretta sul corpo ciliare determina un aumento del deflusso trabecolo-canalicolare.
Il Cy-pass è un “device” tubulare che, impiantato nello spazio sopracoroideale, aumenta il deflusso uveo sclerale. Sfruttando la differenza di gradiente pressorio tra camera anteriore e lo spazio sovracoroideale determina, infatti la formazione ed il mantenimento di una ciclodiastasi.
Entrambe le tecniche hanno il vantaggio di non dipendere, per il loro funzionamento, dalla creazione di una bozza filtrante (fattore critico della trabeculectomia) ed inoltre sono delle metodiche chirurgiche che inducono un ridotto trauma per il paziente e permettono un rapido recupero.
Tuttavia ritengo che le metodiche MIGS necessitino ancora di un approfondimento, tramite trial clinici randomizzati, volto ad evidenziare l’efficacia, i risultati a lungo termine, i campi d’impiego nonché i rapporti costo/beneficio anche in confronto con la trabeculectomia.
COSA È UN FARMACO EQUIVALENTE?
Un farmaco viene definito equivalente al suo Originator se presenta le stesse caratteristiche in termini di:
– principio attivo;
– dose;
– forma farmaceutica;
– via di somministrazione;
– indicazioni terapeutiche e controindicazioni.
Tra i due prodotti possono invece essere diversi gli eccipienti e/o i conservanti.
Inoltre un farmaco equivalente deve essere anche “bioequivalente” al suo Originator, deve cioè garantire una simile biodisponibilità (stesso comportamento quantitativo e qualitativo dopo la somministrazione), tale da ottenere gli stessi effetti terapeutici e/o avversi.
La bioequivalenza viene dimostrata con studi sulla biodisponibilità: se i due farmaci a confronto mostrano una simile biodisponibilità sono anche, per definizione, terapeuticamente equivalenti (studi di equivalenza terapeutica non sono necessari).
Questa regola si applica però soltanto ai farmaci a somministrazione sistemica e non può invece essere applicata ai farmaci topici, come i colliri, per i quali la biodisponibilità non è un parametro valutabile. In questo caso la bioequivalenza viene dimostrata con studi di equivalenza terapeutica.
La bioequivalenza tra farmaco equivalente ed Originator deve essere dimostrata perché una diversa composizione di eccipienti e/o conservanti può modificare la distribuzione del principio attivo nell’organismo, provocando un cambiamento della biodisponibilità e quindi degli effetti terapeutici e/o avversi.
Nel caso di composizioni quali/quantitativa identiche tra il farmaco equivalente e l’Originator ovviamente non è necessario alcun tipo di studio non essendoci possibilità di una diversa distribuzione dei due farmaci nell’organismo.
Fonte: European Medicines Agency (EMA) – Food and Drug Administration (FDA)
Riassumendo:
BIODISPONIBILITÀ = simile distribuzione nell’organismo, dimostrabile con studi di confronto di curva AUC, Cmax e Tmax tra farmaco equivalente ed Originator
EQUIVALENZA TERAPEUTICA = efficacia clinica sovrapponibile (simili effetti terapeutici e/o avversi)
BIOEQUIVALENZA = simile distribuzione nell’organismo (BIODISPONBILITÀ) tale da ottenere gli stessi effetti terapeutici e/o avversi (EQUIVALENZA TERAPEUTICA)
Fonte: European Medicines Agency (EMA) – Food and Drug Administration (FDA)
Dr. Carmelo Chines
Direttore responsabile