La cheratite da Acanthamoeba (AK) è una grave infezione oculare, estremamente difficile da trattare e che può portare alla cecità. L’Acanthamoeba è un genere di ameba a vita libera, presente nel suolo e nell’acqua. È frequente la sua presenza anche nell’acqua del rubinetto e la trasmissione del parassita attraverso l’uso scorretto delle lenti a contatto è tra le cause principali di infezione da AK nei paesi occidentali, tanto da aver indotto all’organizzazione di molte campagne educative per informare i portatori di lenti a contatto sulla corretta igiene di questi dispositivi.
AK può introdursi nell’occhio sia come risultato di un contatto diretto con l’acqua del rubinetto contaminata, ma anche attraverso le mani bagnate, oppure a causa dell’utilizzo di una soluzione multiuso inefficace per la disinfezione dal parassita. I dati indicano che i casi di AK sono in aumento e sono stati registrati alcuni focolai negli ultimi anni, spesso correlati a un basso potere disinfettante dei prodotti usati per la cura delle lenti a contatto.
L’incistamento come forma di resistenza alla disinfezione
L’Acanthamoeba presenta un ciclo di vita che comprende una fase in forma mobile ed infettiva, il trofozoite, e una fase in forma di cisti, che sono più difficili da eradicare rispetto alla forma trofozoite e hanno dimostrato di essere impermeabili alla maggior parte dei metodi di disinfezione che non comportano perossido di idrogeno o iodio povidone. È stato anche osservato che, come in altre specie di amebe, AK è in grado di formare degli agglomerati di cisti, detti sferoidi, che si dispongono a protezione dei trofozoiti, per permettere anche alla forma vitale di resistere meglio alle aggressioni esterne. In particolare, l’incistamento si verifica quando Acanthamoeba identifica l’ambiente come sfavorevole, ad esempio per le condizioni di temperatura, osmolarità o disponibilità di nutrienti.
Il rischio di infezione correlato ai materiali con cui sono fatte le lenti a contatto
Un recente studio ha dimostrato che la possibilità che AK infetti l’occhio in seguito all’uso delle lenti a contatto potrebbe non dipendere solo da uno scarso potere disinfettante delle soluzioni, ma anche dai materiali di cui sono costituite le lenti stesse. Infatti, sia i trofozoiti che le cisti di Acanthamoeba sono in grado di legarsi a un’ampia varietà di superfici polimeriche.
Precedenti ricerche sull’interazione di Acanthamoeba con le lenti a contatto si sono concentrate sul suo tasso di aderenza e sul numero di amebe che possono formare legami con la superficie delle lenti. Nel frattempo, però, l’industria delle lenti a contatto continua ad espandersi con nuovi materiali e prodotti chimici di superficie.
Un recente studio ha, quindi, osservato e quantificato il comportamento di sei diversi ceppi di Acanthamoeba (ATCC 30010, ATCC 30461, ATCC 50370, ATCC 50702, ATCC 50703 e ATCCPRA-115) su 7 diversi idrogel di silicone con cui sono comunemente realizzate le lenti a contatto attualmente, per determinare se la risposta di AK a materiali diversi potesse svolgere un ruolo nella trasmissione dell’infezione. Inoltre, è stata valutata l’efficacia di disinfezione di tre soluzioni multiuso comuni per descrivere la resistenza alla disinfezione di trofozoiti, singole cisti o sferoidi.
Lo studio ha effettivamente dimostrato che i trofozoiti di Acanthamoeba di tutti i ceppi esaminati andavano incontro a una aggregazione significativamente maggiore su specifici materiali per lenti a contatto rispetto ad altri. Si tratta di un risultato importante in quanto tale aggregazione in risposta ad uno specifico materiale costituisce un potenziale fattore di rischio per l’incistamento nel portatore di quelle tipologie di lenti. Inoltre, l’incistamento avveniva in meno di 4 ore sui materiali delle lenti a contatto, più velocemente di quanto accada in natura o in laboratorio. Infine, è stata osservata una alta resistenza alla disinfezione con soluzioni multiuso.
Nuove possibilità terapeutiche
È importante sottolineare che, attualmente, non esistono in nessun Paese farmaci autorizzati per il trattamento della cheratite da Acanthamoeba. La terapia “off label” più utilizzata, fino a oggi, si basa su una combinazione di diamidina e biguanide, oppure vengono utilizzati altri farmaci non specifici, come antibiotici, steroidi e antifungini. Tuttavia, le raccomandazioni attuali dei Centri per il Controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) degli Stati Uniti e del Royal College of Ophthalmologists nel Regno Unito consigliano il trattamento con collirio a base di poliesanide (0,02%) o clorexidina (0,02%), in monoterapia o con l’aggiunta di una diamidina.
Per quanto concerne il futuro prossimo, si prevede che si potrà disporre del primo farmaco specifico ed efficace per il trattamento farmacologico della cheratite da Acanthamoeba. Dopo più di 15 anni di ricerca la casa farmaceutica SIFI ha, infatti, sottoposto all’approvazione di EMA (European Medical Agency), la richiesta di autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco a base di poliesanide 0,08%, che è candidato a diventare il primo farmaco autorizzato per il trattamento in monoterapia di questa grave patologia oculare. L’immissione sul mercato europeo è prevista per i primi mesi del 2024.